domenica 25 settembre 2011

CHI SONO I VERI MERCENARI IN LIBIA

Almeno 40 incursori delle SAS inglesi e altrettanti legionari francesi. Più un centinaio di istruttori egiziani, una ventina forniti dal Qatar e dagli Emirati Arabi Uniti, una dozzina di bulgari e, dulcis in fundo, una decina di italiani. In tutto 300 uomini, forse di più. Sono questi i numeri reali, stimati al ribasso, delle forze speciali “alleate” che stanno aiutando i ribelli libici ed hanno già avuto un ruolo determinante nella conquista di Misurata, Zintan, Zawiya, e Tripoli. A rivelarli è un rapporto appena uscito del Royal United Services Institute (RUSI) di Londra, che conferma le indiscrezioni già uscite sulla stampa internazionale ma aggiunge, oltre ad una analisi militare assai accurata, tutta una serie di dettagli nuovi e per certi versi inquietanti, Da cui  si evince che i veri mercenari presenti in Libia non sono quelli reclutati da Gheddafi – alla prova dei fatti ne hanno ucciso o catturato poche centinaia – bensì quelli messi in campo dalla Nato, in palese contrasto con  la risoluzione 1973 dell’Onu, che autorizzava sì’ l’intervento “umanitario” in Libia ma vietava espressamente l’uso di forze di terra e l’occupazione militare del territorio.
Secondo il RUSI il ruolo delle forze speciali alleate è stato esteso, massiccio e determinante. Innanzitutto nell’addestramento dei ribelli all’uso dei più sofisticati sistemi d’arma, ma anche nel coordinamento delle operazioni sul terreno, nel lavoro di intelligence e infine nell’infiltrazione in zone sotto il controllo dei lealisti. La presa di Tripoli, in particolare, sarebbe stata preparata per quattrolunghi mesi dalle SAS inglesi; e senza questo aiuto, sottolinea il RUSI,  difficilmente si sarebbe realizzata nei tempi brevi e nelle modalità poco cruente con cui è avvenuta. 

Dal Rapporto risulta infine che le Sas inglesi erano attive a Bengasi già dal 23 febbraio, il che vuol dire una settimana dopo l’inizio della rivolta e un mese prima che la Nato decidesse ufficialmente di intervenire. Insomma, pare proprio che i ribelli abbiano avuto dei “padrini” assai premurosi, e da subito. Forse ancor prima che diventassero dei ribelli.
http://www.amedeoricucci.it/chi-sono-i-veri-mercenari-in-libia/ 

sabato 17 settembre 2011

quello che i gonzi pensano di cancellare


continua qui:
1) un partito fascista non è una sigla politica, è un partito fascista, e solo chi è fascista ci si candida. E chi è fascista non fa mai informazione, ma solo propaganda di regime. Ergo se il regime oggi è con Gheddafi, andrà a incensarlo coi suoi colleghi, se il regime è contro Gheddafi e coi "ribelli" del CNT, scriverà propaganda antigheddafiana.
2) un' "emerita pubblicazione annuale di africanistica" su cui pubblicano negazionisti come Claudio Mutti di emerito ha ben poco.
3) il fatto che ci siano stati fior di docenti e politici invitati allo stesso convegno non rende i partecipanti più degni, ma conferma al contrario che i politici occidentali sono carogne prontissime a ordinare di farti fuori 5 minuti dopo averti accolto con tutti gli onori.

domenica 11 settembre 2011

Postmoderno, un pensiero contiguo alla verità neoliberista

Il 24 settembre al Victoria and Albert Museum di Londra si inaugurerà la grande mostra dal titolo Postmoderno-Stile e sovversione 1970-1990. Si tratterà di una memorabile retrospettiva globale sui rapporti fra arti visive, design e Postmoderno. Sono in molti a prevedere che ciò potrà sancire la fine dell'influenza del Postmodern sull'arte. Noi non nutriamo la stessa fiducia visto il ruolo che oggettivamente ha svolto questa corrente di pensiero nel legittimare qualsiasi intrapresa post-ideologica contigua agli attuali assetti di potere. A incrementare l'attenzione su questa notizia concorre l'acceso dibattito su giornali e riviste sul lancio, da parte di Maurizio Ferraris, del manifesto del cosiddetto New Realism. Quest'ultimo si colloca in aperto contrasto con le note posizioni di Vattimo e del suo Pensiero debole (pubblicato con Rovatti nel 1983), una vera e propria architrave nobile del postmoderno italiano.
Lo scontro, nemmeno troppo diplomatico, pone, finalmente, la questione del superamento di posizioni fino a oggi vincenti che, traendo spunto dal fallimento delle grandi utopie, sancivano l'eclissi di qualsiasi idea forte (tipica del modernismo) a favore di una prospettiva progettualmente postmoderna e "debolista", istruita alla plasticità di un esercizio del dubbio sistematico e aperto a legittimare le molte verità possibili (a partire da quella neoliberista). Nella primavera prossima un grande convegno a Bonn, a cui parteciperà anche Umberto Eco e altri filosofi internazionali, affronterà queste tematiche. Tematiche che, c'è da aspettarsi, saranno anticipatamente dibattute ad alto livello nel prossimo Festival della Filosofia di Modena che vedrà Maurizio Ferraris fra i protagonisti.
Ma che cos'è veramente il Postmoderno? Si tratta dell' "incredulità verso la metanarrativa", un'espressione sintetica di Jean-Francois Lyotard, il quale con la sua Condition postmoderne (1979) è stato il maggior teorico di questo pensiero, per altro manifestatosi precedentemente (sin dagli anni Sessanta) in ambiti artistico letterari e in particolare in architettura. Secondo Lyotard, con il decadere dei grandi sistemi interpretativi applicati alla scienza, alla politica e all'arte sarebbe finito il tempo delle narrazioni (evidentemente Niki Vendola ha tratto grande alimento da queste riflessioni). Non esisterebbero, cioè, più verità forti ma solo temporanee probabilità, spesso utili da un punto di vista tattico-pragmatico ma non utilizzabili dal punto di vista delle grandi strategie di trasformazione del mondo.
Il Postmoderno trova nel celebre assunto nietzschiano «non esistono fatti ma solo interpretazioni dei fatti» il suo fondamento relativistico. Qualsiasi concezione della storia che sia fondata su un disegno unitario disposto a prendere in considerazione - pur nella consapevolezza delle inevitabili difficoltà - un unico e/o prevalente prospettiva possibile è negato in partenza.
La fine della storia di Fukuyama, infatti, tredici anni dopo la Condizione postmoderna, cristallizzerà le posizioni di Lyotard. Scienza, arte, architettura e letteratura diventano sottoinsiemi di un pensiero più generale che tende a teorizzare l'impossibilità e anzi la nocività di qualsiasi visione unitaria e coerente. Gli scienziati possono avanzare solo delle opinioni. Gli architetti e gli artisti possono solo rivisitare concezioni e stili che appartengono al passato perché con la "fine della storia", semplicemente, ogni futuro ha cessato di esistere. Il capitalismo è il grande vincitore. Non solo non esistono certezze in grado di contestare questo dato di fatto ma nemmeno plausibili controdeduzioni. E così tutto sfuma e si relativizza. Ogni pensiero altro e ogni azione naufragano prima di prendere il largo. Quanto questo possa far piacere ai burattinai di questo teatrino è facile capire.
Scrive F. Jameson, il quale considera il postmoderno come una proiezione del tardocapitalismo globalizzato: «Il lettore non si lasci fuorviare dal fatto che Lyotard enumeri cinque diverse grandi narrazioni (Illuminismo, Idealismo, Marxismo, Cristianesimo e Capitalismo); è una sola la grande narrazione che Lyotard desidera realmente falsificare, ed è quella comunista e marxista (…) Egli per ammazzare il padre uccide tutti gli adulti» (Il Postmoderno o la logica cultura del tardocapitalismo).
In Italia Portoghesi per l'architettura e Achille Bonito Oliva per le arti visive sono stati i più grandi interpreti di questo pensiero. La Transavanguardia, che conosciamo meglio, è stato il movimento artistico che più si è adeguato a questa visione tattica (volutamente non strategica), oggettivamente antimoderna e nomadica (come chi vaga senza avere una meta). I risultati noi li conosciamo e non sono irresistibili (tranne alcune eccezioni). Ricominciare allora a credere che la storia non si ferma e che in arte, come in politica, come in architettura, come in letteratura - senza indulgere in stucchevoli e improbabili sicurezze -
si deve guardare in alto, si deve guardare in avanti, perché questo mondo per forza va cambiato, è oggi più che mai necessario. Speriamo veramente che la mostra di Londra e il Convegno di Bonn avvicinino questa prospettiva.
Roberto Gramiccia

su Liberazione del 11/09/2011

lunedì 29 agosto 2011

adesso ho capito qual è il problema di mr.M e dei sinistrati con Gheddafi

è una questione psicologica, proiettano la propria inettitudine di rinnegati del comunismo ad abbattere una macchietta di dittatore come Berlusconi.
E allora Gheddafi (cioè Berlusconi) è la causa di tutti i mali della Libia, i "rivoluzionari" (cioè loro) sono democratici e buoni, e avanzano nel tripudio del popolo libico (cioè italiano) che non può che stare al 100% coi liberatori (cioè con loro). Ovvero, fuor di proiezione: noi siamo i buoni, Berlusconi è l'orco cattivo e il popolo italiano la pensa come noi. Questo nei loro sogni bagnati, poi nel mondo reale Berlusconi continua a comandare, il popolo italiano a prenderlo nel didietro, e i libici crepano. Ma questo è irrilevante per i sinistrati, cui interessa farsi forza pensando che il lieto fine sia possibile (echissene se in Libia non c'è stato nessun lieto fine, ma, oggi, un bagno di sangue, e domani l'asservimento a Big Oil).

E qui teniamo il commento che mr.M segherà di sicuro, come ha già fatto per l'altro commento in cui gli si dimostrava che dando del rossobruno a chiunque usa la categoria comunistissima di imperialismo, si finirebbe per etichettare come rossobruno anche un redivivo Lenin, facendo un regalo ai fascisti che non chiedono di meglio che qualcuno faccia per loro il lavoro di censurare i comunisti.

" continui a proiettare nei libici, e nei "rivoluzionari" , l'incapacità di voi rivoluzionari da tastiera a far cadere una macchietta di dittatore come Berlusconi, che sta in piedi da 20 anni senza consumare un centesimo della forza repressiva del dittatore libico. Deve essere molto frustante, vi capisco, voi moltitudinari, che l'anno prossimo non avete neppure la valvola di sfogo di quella parodia di festa che è la Mayday. Ma la proiezione della TUA felicità se cadesse Berlusconi non rende il popolo libico nè libero, nè felice. Perchè il popolo libico ADESSO rischia di non sopravvivere, altro che felicità (vedi CNT che dichiara il disastro umanitario a Tripoli). Il mondo è una cosa un pochino più seria della proiezione delle vostre frustrazioni"

sabato 27 agosto 2011

mr.M è convinto che il popolo libico sia un mucchio di fascisti filoqaedisti

qui
"I libici (NB: ovvero TUTTI, chè in italiano a questo serve l'articolo determinativo) sono abbastanza irritati con chi ha dipinto le loro proteste come un'insurrezione armata da parte di pochi mercenari "
"qualcuno un po' meno presuntuoso potrà rendersi conto di quanto possa essere offensivo per un intero popolo sentirsi chiamare "mercenario"." (NB: UN INTERO POPOLO, nientedimeno)

e qui
"Che si creda a Gheddafi e non agli stessi libici è davvero sintomo di malessere," (NB: questa è una risposta a questo video in cui c'è una folla sterminata di libici, e non le parole di Gheddafi)

mr.M cancella il milione di libici in piazza per Gheddafi a 4 mesi dai bombardamenti Nato su Tripoli (per fare un paragone, a Roma dopo il bombardamento di San Lorenzo, il primo in assoluto, i fascisti erano così benvoluti dal popolo che si rintanarono nelle loro case come conigli, altro che organizzare adunate oceaniche), e per lui l'unico popolo libico sono i 4 gatti che si vedono nei filmati dei "ribelli".

Diamogli pure ragione, e diciamo pure che chi manifesta con la bandiera della Libia monarchica del re fantoccio degli inglesi Idriss (ovvero, fatto il paragone con l'Italia, è come se ci fosse una "rivoluzione" in cui sventolano bandiere della RSI) rappresenti L'INTERO POPOLO libico.
Lasciamo pur perdere che è difficile dire se sia più calunniatorio chiamarli mercenari (cosa che nessuno ha mai fatto, visto che chi parla di mercenari limita l'accusa ai soli uomini armati, il resto della popolazione essendo terrorizzato dalle loro violenze e barricato in casa, come dimostrano svariate testimonianze), o imbecilli completi, come fa di fatto mr.M, dicendo in pratica che tutto il popolo libico è nostalgico del regime (che non era affatto democratico) che ha preceduto quello attuale. Ma, ripeto. lasciamo da parte questa quisquilia.
Se i signori con la bandiera della RSI...ops di re Idriss rappresentano l'intero popolo libico, e hanno appena liberato 600 prigionieri di Al Qaeda (lo dice la
CNN non la propaganda di Gheddafi, che però l'aveva previsto, perchè ogni tanto, con buona pace di mr.M, anche il perfido dittatore di turno dice la verità, e se parlava di feccia di Al Qaeda che avrebbe scorazzato libera, non era per terrorizzare la gente), ne deriva conseguentemente che tutto il popolo libico vuole gli Al Qaedisti liberi!
Se ciò fosse vero (ipotesi per assurdo, perchè nessuno, a parte mr.M, è tanto razzista da ritenere un intero popolo filoterrorista) sarebbe da veri folli accusare Gheddafi di aver bastonato i libici che andavano in piazza, date tali rivendicazioni!
Oppure, molto più semplicemente, il finto imparziale mr.M dovrà ammettere che sulla Libia ha pestato tante di quelle merde da dover buttare via le scarpe, chè ormai non ci si fa più nulla.
Questo è il bel risultato dell'autocastrazione di certa sinistra che ha talmente terrore di usare categorie classiche dell'analisi marxista della realtà, come quella di imperialismo, da arrivare al suicidio di chiamare rossobruni (e quindi fascisti infiltrati a sinistra) chi ne parla. Insomma, se Lenin nascesse oggi in Italia, verrebbe respinto dai poveretti alla mr.M come un lurido fascio che prova a traviare le menti dei poveri pischelli comunisti.

mercoledì 24 agosto 2011

mr. M cerca un posto ben remunerato

il signore di cui ho parlato un paio di post sotto si è messo a fare il ritwittatore della propaganda dei qaedisti "liberatori" della Libia. Che sia un'attività professionale lo dimostra la reazione a un mio appunto sul fatto che la gente seria conta fino a 100 prima di ripubblicare a nastro le dichiarazioni di gente che ha già dato Gheddafi and family per morti, o fuggiti (che si sa come sono i dittatori, quando il gioco si fa duro scappano. Peccato che non sia così, e quelli stronzi oltre che non scappare, si fanno pure vedere in giro da "catturati", LOL).
La risposta del tapino è stata rivelatoria: "certo, e la vittoria di Gheddafi è vicina". Insomma, per lui si tweeta solo per fare propaganda di guerra, non per correggere le infinite cazzate dei suoi eroi. Con una tale etica giornalistica, il posto di Allam non glielo toglie nessuno

martedì 23 agosto 2011

l'ala sinistra della P2

dal piano di rinascita democratica del camerata Licio Gelli:

  • PROCEDIMENTI
    1) Nei confronti del mondo politico occorre:
    a) ...usare gli strumenti finanziari stessi per l'immediata nascita di due movimenti: l'uno, sulla sinistra (a cavallo fra PSI-PSDI-PRI-Liberali di sinistra e DC di sinistra), e l'altra sulla destra (a cavallo fra DC conservatori, liberali e democratici della Destra Nazionale)...
    Gli scopi reali da ottenere sono:
    b) ripristinare ...il ruolo effettivo del sindacato di collaboratore del fenomeno produttivo (NDG: ovviamente Gelli quando intende collaboratore vuol dire sindacato di regime, come sotto il fascismo, che esiste solo per dare l'avallo alle decisioni dei padroni) in luogo di quello illegittimamente assunto di interlocutore
  • La manovra aggiuntiva varata dal governo italiano in pieno agosto impone alcune riflessioni non solo nella parte immediatamente connessa al rastrellamento di risorse monetarie, ma anche in quella che incide sui rapporti lavorativi (non solo in quelli tradizionali, stabili e subordinati) e modifica la struttura stessa di controllo sociale del ciclo produttivo finanziarizzato.
    Il terzo titolo del decreto (articoli da 8 a 12) non è stato preceduto da alcun dibattito e neppure da alcun commento preventivo....
    Seguendo il medesimo copione già collaudato in precedenza (quando fu approvato il collegato lavoro nel novembre 2010 e quando venne introdotto un balzello nelle cause di lavoro nel mese di giugno scorso) l’intero apparato di comando politico (maggioranza e opposizione) ha creato un dibattito sostanzialmente simulato per distogliere l’attenzione sul reale obiettivo che si proponeva, onde evitare sgradite reazioni preventive; con la ragionevole previsione di presentare i giochi già fatti, in piena estate, sapendo con certezza di contare su una silenziosa approvazione da parte delle burocrazie sindacali
    Il progetto di legge sul quale la ratio degli articoli 8-12 (le pretese misure a sostegno dell’occupazione) si fonda non è del governo ma del partito democratico; porta la firma non solo del senatore Ichino (la cui posizione è ben nota) ma anche di parlamentari più prudenti e meno schierati, non usi a rendere pubblico il progetto di dominio e di controllo sui ceti subalterni, condiviso da destra e sinistra.
    Contestualmente all’approvazione del vergognoso collegato lavoro venne votata quasi all’unanimità una mozione d’indirizzo che richiamava espressamente il testo elaborato dal professor Ichino, senza che una tale presa di posizione della sinistra fosse stata oggetto almeno di una aperta preventiva discussione. Il ceto politico aveva deciso di imporre la propria sopravvivenza e di far pagare come al solito il costo della crisi alle nuove moltitudini; era il preludio di quanto poi posto in essere con la manovra di agosto. Infatti il presidente della repubblica Napoletano ha ricevuto il testo il 13 agosto, firmandolo senza esitazione, subito; e con la stessa solerzia, in pari data, la Gazzetta Ufficiale procedeva alla pubblicazione così che (in base all’articolo 20) poteva entrare in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione.
    L’articolo 8 del decreto 138/2011 introduce per la prima volta nell’ordinamento italiano la possibilità di una deroga generalizzata ed illimitata ai diritti minimi stabiliti per legge. Non è necessario stipulare un accordo di estensione nazionale, ma in ogni porzione di territorio, anche piccolissima, e perfino in ogni singola azienda, diventa lecito ciò che fino ad ieri non era consentito, travolgendo od eliminando garanzie acquisite in passato.
    http://uninomade.org/la-manovra-di-ferragosto/

    invito qualsiasi elettore del PD che legge questo post a dimostrare che non vota per un partito tecnicamente fascista, posto che il fascismo fu un regime basato sulla distruzione, per messa fuorilegge, della conflittualità sociale a ovvio vantaggio del padronato.

    lunedì 22 agosto 2011

    una domanda ai sedicenti comunisti che esultano per la fine di Gheddafi

    cari sedicenti comunisti, riconoscete o no che l'imperialismo è la fase suprema del capitalismo, quindi il peggior regime possibile per i popoli che lo subiscono?
    Se no, non siete comunisti.
    Se sì, riconoscete o no che la Nato è intervenuta SOLO per il petrolio, e quindi che non c'è NESSUNA guerra di liberazione, ma solo dei mercenari che aprono la via all'occupazione imperialista?
    Se no, imparate a svegliarvi e a vedere cos'è successo in Iraq e Afghanistan
    Se sì, come potete considerare un bene la caduta del miglior "dittatore" di tutta l'Africa (il welfare state libico copre le spese mediche anche all'estero), quando chi verrà dopo saranno servi dell'imperialismo (se non gli imperialisti in prima persona direttamente: http://www.ft.com/intl/cms/s/0/559804f8-cc7f-11e0-b923-00144feabdc0.html)?
    Svegliatevi, dio santo! Se siete così infantili da bervi la storiella del dittatore cattivo sconfitto dall'occidente buono, non chiamatevi comunisti, perchè siete i peggiori servi dell'imperialismo, e quindi i peggiori nemici del proletariato mondiale

    sabato 13 agosto 2011

    Mr.M continua a farsi del male

    MAZZ: "storicamente gli Stati Uniti non hanno mai avuto bisogno di grandi pretesti per attaccare altri paesi e anche quando se li sono procurati eran davvero poca roba"

    la storia dice l'esatto opposto. Gli USA non sono MAI entrati in guerra senza prima un episodio venduto come provocazione nemica.
    Dall'affondamento del Maine per intervenire a Cuba, al Lusitania per la prima WW, a Pearl Harbor che è una palese LIH, all'incidente del golfo del Tonchino, all'invasione (COL BENEPLACITO USA) del Q8.
    Ergo questa frase è platealmente falsa, e con essa quella a caratteri maiuscoli. Ci voleva qualcosa di ENORME per giustificare il doppio attacco, tant'è vero che ANCORA OGGI, nonostante Bush stesso abbia ammesso che la collusione Saddam-OBL non è mai esistita, oltre la metà degli americani ci crede. E certe idiozie non vengono credute senza un evento traumatico che porta a bersi di tutto

    MAZZ:"selezionando quello che confermava la tua tesi come fanno tutti gli avari cognitivi, la storia degli Stati Uniti invece è fatta di più di un centinaio tra conflitti ed invasioni,"

    mazze', non continuare a farti del male, perchè non sei coglione come cerchi a tutti i costi di sembrare. Conosco benissimo la lista di Rusk, e lungi dal darti ragione dimostra oltre ogni ragionevole dubbio che hai torto marcio su tutta la linea.
    Quel centinaio di "conflitti" sono poco più che scaramucce che iniziano e finiscono senza che se ne sappia qualcosa in patria, tale è lo spiegamento di mezzi e di uomini necessario per combatterli.
    Tant'è vero che quell'elenco fu fatto dal segretario di stato USA per spiegare ai membri del senato (ovvero ai CENTO politici più importanti d'America), che c'erano già stati tutti quei "conflitti", e quindi un'invasione di Cuba era solo un'altra tacca sulla lista.
    Ma se c'è bisogno di spiegarlo ai senatori, che le guerre le devono votare (e quindi qualcosa dovrebbero sapere di quante ne hanno fatte), figurati cosa ne sa il 99% degli americani della loro esistenza!
    E non per caso, ma per il semplice motivo che Rusk (per contrastare l'opposizione a un intervento a Cuba) e te rendete guerre azioni militari che sono al 90% poco più che scaramucce, che non ebbero nè a monte una dichiarazione formale di guerra, nè a valle un trattato di armistizio o di pace, come accade con le GUERRE vere, quelle in cui si mobilitano centinaia di migliaia di soldati e neanche volendo si può negare ai cittadini di essere in guerra.
    Solo un completo imbecille può mettere sullo stesso piano pari due full scale invasion con roba come questa:
    "1817 - isola Amelia (territorio spagnolo in Florida): agli ordini del presidente Monroe, truppe degli Stati uniti sbarcarono e cacciarono un gruppo di contrabbandieri, avventurieri e predoni."
    e siccome NON sei un imbecille, anzi, al contrario, sei uno dei migliori blogger italiani, arrampicarti sugli specchi ti fa solo disonore.

    "com'è che sono giorni che mi stai addosso con la sicumera dell'esperto senza nemmeno mettere un nick o un segnetto di riconoscimento che sarebbe tanto utile per evitare casino nei commenti?"
    ...piantala anche con questa fesseria dello spammer fissato per tre motivi:
    1) è evidente che i miei interventi sono differenti dal tizio che ha dato i link precisi nei commenti precedenti
    2) chi ti contesta le tue scemenze (sull'11/9, non sul resto) rispondendo punto per punto non è uno spammer
    3) sei talmente fuori di melone, quando si parla di 11/9, che parti in quinta senza nemmeno collegare i neuroni, come dimostra il fatto che nemmeno ti sei accorto che il commento 43 ti stava dando ragione.
    Per cui lo dico per il tuo bene: non farti del male da solo, che quando non parli di 11/9 fai un ottimo lavoro.
    Se proprio non riesci psicologicamente a farti una ragione del fatto che chi ha sterminato un milione di irakeni e chissà quanti afghani solo per il petrolio e il controllo del narcotraffico (ovvero della causa di morte per molti più americani di quelli dell'11/9) possa aver fatto lo stesso con 3000 yankee, sega subito chi ne parla CON COGNIZIONE DI CAUSA, perchè continuerai a fare figure da fesso a ripetizione

    giovedì 11 agosto 2011

    Mazzetta è un grande, ma quando si attivissimizza azzera la sua credibilità

    Premetto che per me è una delle migliori fonti del web italofono, e lo consiglio a tutti, tranne quando si schiera per principio contro quelli che lui ha deciso essere complottisti.
    Visto che sull'11/9 continua a menarla con la petitio principii del "i partecipanti al complotto sarebbero troppi perchè qualcuno non parli", e quando gli hanno fatto notare che la P.P. NON è un argomento, ma una fallacia (particolarmente grave se usata nel contesto di un post in cui parla di 60.000 assassini al comando del presidente USA abituati a commettere qualsiasi crimine contro l'umanità di cui non si sa quasi niente), ha reagito dicendo che avrebbe segato la discussione perchè era OT, teniamoci i commenti ai qualli non è stato in grado di rispondere (NB: a scanso di equivoci, non sono roba mia, chè un'altra pessima abitudine di Mazzetta quando qualcuno lo contesta con validi argomenti è diventare paranoico a sua volta e dire che è sempre lo stesso che ce l'ha con lui):

    "saresti così gentile allora da indicarmi (magari mettendomi un link) il documento ufficiale in cui i rottami ritrovati dei 4 aerei coinvolti nell'attacco terroristico del 9/11, vengo identificati tramite serial number come effettivamente appartenenti ai 4 aerei da sempre uffcialmente dichiarati?
    Guarda, ti dò un aiutino... per legge, eseguire tale comparazione, è obbligatorio. Viene fatto anche nei casi più evidenti. Puoi consultare la lunga casistica NTSB in merito.
    e adesso, ti rinnovo la domanda: mettimi il link a quello dei 4 aerei "ufficialmente" coinvolti, con tanto di abbinamento aereo/pezzo/serial number.
    che dici... posso fare anche che non perdere tempo ad aspettare il link?"

    "[TU] scrivi, in un tuo commento:
    "L'ipotesi è risibile perché il numero dei Seals uccisi nell'abbattimento dell'elicottero è drasticamente inferiore a quello degli impegnati nell'operazione contro Osama"

    [IO] scrivo:
    ti ricordi quante versioni differenti sul raid sono uscite fin dal primo minuto?
    sparatorie, non sparatorie, Osama armato, non armato, la moglie scudo umano, la moglie non scudo umano, tre elicotteri atterrati, uno esploso, due elicotteri atterrati uno esploso uno in volo, un elicottero solo doveva atterrare ma siccome si è schiantato son scegli gli altri due, uno a fare il raid l'altro per rimbarcare le truppe... etc etc (se vuoi ti posto i link di almeno una quindicina di giornali differenti). e comunque sono informazioni rilasciate dagli stessi Comandi che (giustamente) critichi, ricordando che "vivono" di operazioni segrete e sporche e psy-ops. dunque prendere acriticamente per buone le loro parole, è un puro atto di fede

    [TU] scrivi:
    "se non si fosse mai verificata [ l'operazione contro Osama ], non ci sarebbe stato bisogno di uccidere nessuno per mantenere il segreto sulla sua non-uccisione"

    [IO]
    ti scrivi la domanda più comoda e ti dai la risposta da solo? mhmmmm
    Innazitutto: chi ha mai messo in dubbio che l'operazione non ci sia stata?
    credo assolutamente nessuno in tutto il mondo! quello che viene messo in dubbio di quella Operazione, è che effettivamente abbia portato alla uccisione del "reale" OBL.
    del resto nessuna e ribadisco nessuna informazione controllabile (o almeno plausibilmente verificabile) è stata rilasciata in merito.
    ci vuole fede anche in questo caso!

    [TU] scrivi:
    "e viceversa ci sarebbe bisogno di uccidere i medici legali che hanno firmato l'autopsia, i marinai impegnati nel funerale e quei congressisti ai quali sono stati mostrati i materiali video che documenterebbero l'accaduto"

    [IO] scrivo:
    ti scrivi la domanda più comoda e ti dai la risposta da solo, parte seconda? mhmmmm
    A parte il fatto, assolutamente non dimostrato che: gli abbiano fatto un autopsia, gli abbiano fatto un funerale in mare, etc.
    Ossia, esistessero veramente quei "medici legali" e quei "marinai"...
    Ribadisco, IO NON SOSTENGO che le cose NON siano andate come ci hanno raccontato (in merito al raid e all'elicottero, per capirci), ma RIFIUTO certi assolutismi perfettamente acritici, specialmente di fronte al fatto che nessuna "prova", nessuna "immagine", nessun "video", nessuna "testimonianza", nulla, sia stato portato a supporto di un'affermazione fatta dai capi di quei comandi militari che compiono operazioni segrete, psy-ops, operazioni sporche etc in continuazione. Anche perchè se così non fosse, caro Mazzetta, ci toccherebbe anche credere alle balle balle delle Armi di Distruzione di Massa di Saddam, e alla tanto sbandierata fialetta di antrace da Powell all'ONU."

    "i 90000 litri di carburante della CON EDISON???
    mahuahuha
    "Neither did the Con Edison substation play a significant role in the collapse of the WTC 7"
    NIST NCSTAR1A
    ma forse non lo sapevi che il NIST l'ha fatto uscire il suo rapporto (NIST NCSTAR1A ) UFFICIALE E DEFINITIVO sulla distruzione del WTC7.
    vabbè, guarda, davvero, facevi miglior figura a non citarli quei litrozzi .
    Perfettamente inutile commentare il resto, se nemmeno mai ti sei preso la briga di leggerla la documentazione ufficialE!
    pfffff
    Attivissimo andrà assolutamente andare fiero di te."

    "guarda, se hai tempo e voglia, sinceramente, vatti a leggere questo documento.
    E' un documento ufficiale della FBI.
    si tratta degli interrogatori ("interview") al personale della UAL.
    Gli sottopongono i dati ACARS delle trasmissioni tra "UA93" e la UAL.
    leggi gli orari in cui fisicamente sono stati ricevuti da N591UA (ossia l'aereo fisico che quel codice e solo quel codice impostato nel FMC di bordo), e guarda anche bene quali RGS (stazioni radio VHF a terra) li hanno trasmessi entro il loro raggio di portata.
    e leggi bene cosa dicono quelli della UAL (compreso Winters, il capoccia!!!)
    il doc lo puoi scaricare a questo indirizzo:
    http://www.911myths.com/images/1/1c/Team7_Box11_FBI302s_ACARS.pdf
    poi, se vuoi, ne riparliamo...e se vuoi ti invio tutti i link e i documenti che spiegano nel dettaglio il funzionamento delle comunicazioni ACARS."

    "Ufficialmente ti ricordo che UA93 si è schiantato alle :10:03:11 vicino Shanksville
    Mentre l'ultimo messaggio ACARS inviato dalla UAL a N591UA, e FISICAMENTE RICEVUTO dalle apparecchiature di bordo preposte (l' MU),
    è stato ricevuto alle 10:11.
    ed è stato inviato in VHF, dalla RGS (radio Ground Station) di Champaign... che dista proprio un bel pò da Shanksville.
    E prima di lei, gli ultimi messaggi fisicamente ricevuti, a N591UA, gleli hanno inviati le RGS di Toledo e di Fort Wayne... che anche loro sono ben ben distanti da Shanksville.
    Think about it
    Come può aver fisicamente ricevuto l'ultima comunicazione ACARS, inviatale dalla RGS di Champaign (dopo quelle di Toledo, e Fort Wayne), alle 10:11 ???
    FAA e UAL erano in contatto con aerei differenti. la FAA con UA93 (che non è altro che una sigla di volo, che appare o disappare sui radar secondari), la UAL era in diretto contattto con N591UA ( tail number dell'aereo fisico, che è associato al FMC di bordo in modo unico e univoco per la gestione delle comunicazioni ACARS )
    e il Piano Northwoods.... continua a tornare in mente."

    "il rapporto NCNISTAR1A lo hai letto si o no? e se si, perchè ancora continui con la disinfo sul combustibile della CON EDSON?
    ---e il MANTENERE un segreto...come mai cambia a seconda del "proprio" tornaconto?
    9/11 no, iran-contras (droga-armi) invece si?
    e per tutti gli aerei della CIA tuttora beccati carichi di eroina e cocaina?
    anche per quelli il segreto va bene ed è comodo facile e normale mantenerlo?
    anche per i golpe in sud-america andava bene, ma per il 9/11 no?
    anche per l'op Mangoose andava bene ma per il 9/11 no? per JFK nessun problema, ma per le torri no?
    pagliacciate indegne di chi le scrive, ma si sa, l'importante è la PETITO PRINCIPII. che schifezza di ragionamenti!
    chi è abituato a compiere GOLPI, TORTURE, TRAFFICO INTERNAZIONALE DI ARMI E DROGA, GUERRE, OPERAZIONI SEGRETE, etc, SA TENERE SEGRETI I SEGRETI, almeno fino a quando non vengono sgamati.
    ANCHE QUANDO SI TRATTA DI AMMAZZARE PROPRI CITTADINI.
    pure con il LORO stesso Presidente KENNEDY... a meno che tu non sia un fans della MAGIC BULLET.
    certo, certo, se tu credi alla quella zigzagante traiettoria... ah beh!
    chapeu!
    quindi, questa menata del "avrebbero dovuto essere in molti e quindi qualcuno avrebbe parlato", E' solo UNA PETITO PRINCIPII: ossia un banale vuoto artificio letterario per auto-cercare di autorasi ragione.
    va bene per i polli e per i babbioni.
    ma non attacca con tutti, grazie.
    --"sequestro e dell'uccisione dei passeggeri di questtro aerei"????
    un'altra volta a scrivertele e cantartele da solo!!! PETITO PRINCIPII e basta!
    e chi l'ha mai detto che i passeggeri li avrebbero sequestrati e uccisi?
    ho mai detto questo?
    Leggiti i Piano NORTHWOODS !!!! cristo santo, leggilo!
    anzi, te ne metto un pezzetino, ricortandoti che è stato pensato e scritto nel 1962:
    Piano Northwoods:
    ****I passeggeri dovrebbero essere un gruppo di studenti universitari in vacanza o qualsiasi gruppo di persone con interessi comuni tali da giustificare un volo charter e non di linea.
    ***a. Un aereo della base aerea di Eglin AFB verrebbe riveniciato e rinumerato come un duplicato esatto di un aereo civile, di proprietà di una organizzazione facente capo alla CIA nell'area di Miami.
    ****Al momento previsto, il duplicato sostituirebbe l'aereo originale e vi sarebbero imbarcati i passeggeri prescelti, tutti con identità opportunamente preparate.
    ****L'aereo originale verrebbe sostituito da un velivolo radiocomandato.
    ****b. Gli orari di decollo del velivolo radiocomandato e di quello reale verrebbero sincronizzati per permettere un incontro a sud della Florida.
    ****Dal punto d'incontro, l'aereo civile scenderebbe a quote molto basse e si dirigerebbe direttamente a un campo ausiliario della base aerea di Eglin, equipaggiata per l'evacuazione dei passeggeri e per riportare l'aereo alle condizioni originarie.
    ****Nel frattempo, il velivolo radiocomandato proseguirebbe lungo il piano di volo previsto.
    ****Giunto sopra Cuba, il drone trasmetterebbe sulle frequenze internazionali d'emergenza il segnale di "MAYDAY", dichiarandosi sotto attacco da parte di un MiG cubano.
    ****La trasmissione verrebbe interrotta e la distruzione del velivolo sarebbe innescata sa un radiosegnale.
    ****Ciò permetterebbe alle stazioni radio ICAO nell'emisfero occidentale di informare dell'accaduto gli Stati Uniti, invece di costringerci a tentare di "rivendere" la storia dell'incidente.
    ma siccome tu sul 9/11 scrivi cose senza nemmeno esserti preso la briga di informarti su documentazione ufficiale... chissà se fai lo stesso anche per gli altri articoli.
    ossia, credere a ciò che scrivi, diventa solo un atto di fede.
    e la fede la lasciamo volentieri ai babbioni.
    sinceramente Mazzetta, le tue risposte in argomento 9/11, mi han dato il voltastomaco per la pochezza, l'approssimazione e l'ignoranza dimostrata in merito.
    continua a bambolarti nel tuo bias di conferma, e stammi bene.
    hai di sicuro perso un lettore, perchè per leggere simili approssimazioni e fandonie c'è pieno di altri posti al mondo.
    Peace and Love
    (ma ZERO respect, perchè hai dimostrato con le tue volute fallacie logice e la tua approssimazione, di fare solo disnfo. nulla più che disinfo.
    potresti andare a fare lo scribacchino sull'osceno disinformazione.it, o anche da Paolo Atiivissimo che sarebbe lo stesso).
    Io ti ho citato due documenti ufficiali della FBI con dati ufficiali della UAL.
    Smentisci quelli con altri documenti ufficiali, non con ragionamneti che ragionamenti non sono ma è solo dare fiato alla bocca senza portare documentazione oggettiva a sostegno, cristosanto!
    le opinioni difronte a fatti concreto non contano unemerito c****
    o di niente.
    dimostrami che la MAGIC BULLET abbia potuto FISICAMENTE fare il percorso che dicono abbia fatto ed essere ritrovata nelle condizioni in l'avrebbero ritrovata... ah ma no! troppo complesso per te. se va bene te ne uscira con una frasetta adminchiam dicendo che "maddai, crederai mica che potessero uccidere il loro stesso presidente! no!!! giammai! i buoni fanno porcate solo agli altri, a loro stessi mai!"

    "citami dove io avrei detto che il Piano Northwoods sia una PROVA.
    citamelo, plz.
    visto che tu hai detto (senza portar alcun documento a supporto ) che "non potrebbero mai tenere un simile segreto, perchè mica si tratta come con il caso Iran-Contras, che ufficialmenet non ammazzava nessuna americano, se no anche i cattivi dei servizi si sarebbero ribellati e lo avrebbero raccontato in giro" (ah ah ah), e sempre siccome tu ahi sostenuto "la cazzata degli ologrammi" o hai cercato di ridicolizzare la possibilità che gli aerei fossere radiocomandati e privi di paasseggeri a bordo,
    IO ti ho citato un documento UFFICIALE del 1962, dove ti si dimostra che già all'apoca potevano fare swap di aerei in volo, farlo con cittadini loro, e radiocomandarli a distanza.

    " (cit. di Mazzetta) "...come abbiano fatto a mantenere il segreto su un'operazione che comunque avrebbe dovuto coinvolgere decine e decine di americani in una strage di americani..."
    sembra quasi che Mazzetta non viva nel paese delle stragi di stato...."

    "(sempre Mazzetta) "e tu ed altri non spiegate -mai- come sia possibile ottenere un risultato del genere, citate l'operazione Northwood e credete di spiegare, ma non spiegate niente"
    "l'operazione NW spiega due cose fondamentali, che i presunti debunker fingono di ignorare, perchè mandano a puttane la leva psicologica su cui basano il debunkeraggio, ovvero "i politici yankee non possono essere così criminali da fare ammazzare migliaia dei loro solo per fare una guerra"
    La sola esistenza dell'operaztione NW, che, ricordo, era bollata da chi ne parlava prima che uscissero i documenti come paranoia, o "collaborazionismo" alla propaganda sovietica, dimostra che piani del genere
    1) esistono, quindi "sì, il complesso militar-industriale yankee di cui i politici sono soltanto la fase terminale certe cose le pensa tutti i giorni". E' praticamente certo che Roosevelet sapeva tutto dell'attacco di P.H:, e non ha fatto niente (a parte allontanare le navi più nuove, che dovevano servire per la guerra imminente) per impedirlo. Quanti morti ci sono stati in quell'attacco evitabilissimo?
    2) se esistono, è perchè chi li prepara ha la ragionevole certezza che NESSUNO di chi partecipa al piano parlerà. Anche perchè quello che i debunker fingono di ignorare è che non sta scritto da nessuna parte che TUTTI quelli che fanno parte del piano debbano sapere tutto, specie se chi deve mettere in atto il piano è abituato per mestiere a eseguire gli ordini senza discutere."

    "Mazzetta parla di realtà mostruosa, e, quel che è peggio, della contemporanea indifferenza generale:"
    quindi riconosce che i presidenti USA hanno eserciti interi al loro servizio di assassini rotti a qualsiasi crimine contro l'umanità, epperò nega assolutamente che possano averlo fatto l'11/9. Perchè? Perchè con tutta quella gente coinvolta qualcuno doveva parlare per forza.
    Ma se dice LUI STESSO che i corpi speciali sono SESSANTAMILA, e a malapena si sa che esistono? Perchè improvvisamente questa muraglia umana di omertà che fa apparire i mafiosi delle comari al confronto, dovrebbe essere scomparsa l'11/9?"

    mercoledì 25 maggio 2011

    democrazia in salsa sionista

    http://www.youtube.com/watch?v=LYXSLA7Cr2E
    ecco la "vera democrazia" di cui si vanta Bibi nel video, all'opera, ovviamente lontano dalle telecamere:
    http://www.moveoveraipac.org/2011/05/jewish-protester-disrupts-netanyahu-during-congressional-address
    (dove si apprende, fra le righe, che le standing ovation NON erano dei parlamentari americani, ma della teppa dell'Aipac. Tolte le botte, il "grande successo" di Bibi sta alla realtà come quello di Berlusconi, che si comprò il discorso al Congresso dove parlò a uno stuolo di portaborse e figuranti)

    domenica 15 maggio 2011

    e mo' continua a dire che antisionismo e antisemitismo sono la stessa cosa, OMM'E'MERDA!

    Naqba: Israele uccide 20 palestinesi (ANSA) - GERUSALEMME, 15 MAG - I militari israeliani hanno sparato a manifestanti palestinesi che nel giorno della Naqba hanno provato a sconfinare da Siria, Libano e dalla Striscia di Gaza, uccidendone piu' di 20 e ferendone centinaia. Si tratta della piu' sanguinosa celebrazione della Naqba ("Disastro", come i palestinesi chiamano la fondazione dello Stato ebraico) da molti anni.

    La "fabbrica del falso" sulla guerra in Libia

    Il collasso dell'informazione occidentale sulla guerra i Libia sotto l'egemonia della "fabbrica del falso". Un saggio di Vladimiro Giacché.
    La fabbrica del falso e la guerra in Libia
    “Attraverso la ripetizione, ciò che inizialmente appariva solo come accidentale e possibile, diventa qualcosa di reale e consolidato” G.W.F. Hegel, Vorlesungen über die Philosophie del Geschichte, in Sämtliche Werke, Frommann, Stuttgart-Bad Cannstatt, 1971, Bd. 11, p. 403.
    L’attacco della Nato contro la Libia iniziato il 19 marzo 2011 rappresenta un caso emblematico a più riguardi. In primo luogo, conferma in modo eclatante una verità più generale: nel mondo contemporaneo la propaganda, la guerra delle parole e delle immagini è ormai parte della guerra stessa. In secondo luogo, evidenzia la confusione che regna in una sinistra che – anche quando si pretende “radicale” e conseguente – in Italia come in tutti i paesi occidentali, ha dimostrato una sorprendente arrendevolezza e subalternità rispetto alla propaganda e all’ informazione ufficiale. Si tratta di un fenomeno tanto più significativo in quanto anche in questo caso – come già era accaduto per l’Iraq – gli stessi Paesi aderenti alla Nato si sono presentati all’appuntamento divisi: l’astensione della Germania già in sede Onu si è trasformata in decisa presa di distanza dalle operazioni, e la stessa Turchia ha manifestato il proprio dissenso rispetto alla conduzione della guerra. Ma mentre ai tempi della guerra di Bush le divisioni nel campo imperialista avevano grandemente giovato al movimento per la pace, in questo caso nulla di questo è avvenuto. Lo stesso gruppo parlamentare della GUE al Parlamento Europeo si è spaccato, e nel nostro Paese si è assistito al grottesco spettacolo di un PD assai più guerrafondaio degli stessi partiti di governo, mentre SEL ha tenuto un atteggiamento inizialmente ondivago (con una parte della base favorevole all’ intervento) e soltanto la Federazione della Sinistra ha avuto da subito posizioni intransigenti sull’argomento. In questo articolo esaminerò i principali dispositivi che la fabbrica del falso ha posto in essere nel caso della guerra di Libia, e proverò ad individuare i motivi di fondo che hanno indotto molti, anche a sinistra, a cedere alla propaganda di guerra. Nel mio argomentare metterò in gioco lo schema interpretativo che ho esposto più diffusamente nel mio libro La fabbrica del falso. Strategie della menzogna nella politica contemporanea (DeriveApprodi, 20112). In questo testo proponevo un insieme di strategie di attacco alla verità non assimilabili alla menzogna pura e semplice. Vediamo come queste strategie sono entrate in gioco nel caso libico.
    La verità mutilata
    La verità viene mutilata quando nel trattare di un evento non si fa menzione del contesto in cui si colloca, delle circostanze, di ciò che gli sta attorno. O, semplicemente, la si racconta a metà. Nella famosa sequenza dell’ abbattimento della statua di Saddam Hussein a Bagdad, divenuta una delle icone della guerra in Iraq, le inquadrature mandate in onda sulle tv internazionali e pubblicate sui giornali erano così ravvicinate da non mostrare che la piazza era praticamente deserta e che la “folla festante” si riduceva a poche decine di iracheni.1 In questo caso la verità viene mutilata dal taglio delle foto, che impedisce di vedere lo spazio in cui ha luogo l’evento, e ne induce una falsa rappresentazione. Nel caso libico esiste un episodio del tutto parallelo. Si tratta della famosa foto che il 22 febbraio i media di tutto il mondo hanno rilanciato con grande evidenza sotto il nome di “fosse comuni in Libia”. Quello che la foto riprende è in realtà un normale cimitero in cui si stanno preparando alcune tombe singole, ma gli scatti che hanno fatto il giro del mondo non consentono di capirlo. Ma c’è di più: come ha rivelato il giornalista Rai Amedeo Ricucci, le stesse foto erano già state messe in rete mesi fa. Lo stesso Ricucci a questo proposito ha raccontato un episodio interessante. Il caporedattore di un’importante agenzia di stampa italiana, accortosi della bufala, fatto presente al suo direttore che si trattava di foto vecchie. La risposta del direttore è stata: “[questa notizia] gli altri la danno, non possiamo bucare”.2 Questo meccanismo è tutt’altro che nuovo. Il 26 e 30 maggio 2004, il New York Times fece autocritica sull’ atteggiamento tenuto nei confronti della guerra in Iraq, ammettendo – in un editoriale firmato dalla direzione del quotidiano e poi in un articolo del garante dei lettori – che alcuni articoli “non erano stati rigorosi a sufficienza”, e si erano giovati di fonti “discutibili”. Di più: il quotidiano ammise che la copertura offerta era stata un fallimento “non individuale ma istituzionale”: un “fallimento” fatto anche di titoli strillati in prima con notizie false. In quel contesto il New York Times fece riferimento anche all’“ansia di scoop”, quale movente che avrebbe indotto a pubblicare notizie senza verificarne in misura adeguata l’attendibilità. Anche Franck de Veck (ex direttore del settimanale tedesco Die Zeit) ha attribuito una parte della colpa delle notizie false pubblicate nel caso iracheno alla necessità per i giornali di decidere rapidamente cosa mettere in pagina: “meglio un’opinione, anche non suffragata da prove, che nessuna”.3 Lo stesso è avvenuto nei primi giorni dei disordini in Libia. Se tutti i giornali aprono sui 10.000 morti in Libia, notizia lanciata dalla televisione saudita Al-Arabiya il 24 febbraio e assolutamente inverificabile, io – giornalista della redazione x – che faccio? “Prendo un buco” o la metto anch’io? Da un punto di vista di etica dell’ informazione, la scelta dovrebbe essere ovvia: non la metto. In pratica succede quasi sempre il contrario: perché il fatto che tutti mettano una notizia non verificata mi copre se risulterà non vera. E in effetti, la notizia in questione si è rivelata falsa, come false erano le generalità dei presunti funzionari della Corte Penale Internazionale che ne sarebbero stati la fonte. Ma ha contribuito a creare il clima psicologico per predisporre l’opinione pubblica occidentale alla decisione di effettuare un intervento militare in Libia. Lo stesso vale per l’episodio raccontato da Ricucci, con l’aggravante – in quel caso – che la verifica era stata fatta e aveva dato esito negativo.
    La verità messa in scena
    Il mosaico delle verità dimezzate (le presunte atrocità commesse dai soldati di Gheddafi, mentre ovviamente i soldati lealisti ammazzati o umiliati dai rivoltosi della Cirenaica non vengono mostrati, o – quando lo sono – vengono etichettati come “mercenari”) e delle pure e semplici falsità finisce per comporre una più generale verità messa in scena. Una rivolta tribale è trasformata in rivoluzione democratica, gli scontri armati tra ribelli e truppe regolari sono trasformati in “genocidio” ad opera di queste ultime (memorabili alcuni titoli in prima del Fatto Quotidiano), e un personaggio come Gheddafi si trasforma, da un giorno all’altro, da affidabile partner d’affari a una via di mezzo tra Adolf Hitler e Idi Amin Dada; ovviamente, in parallelo alla demonizzazione del dittatore, c’è l’idealizzazione degli insorti, che attinge vette di notevole lirismo. Lo prova tra gli altri un titolo di Repubblica del 23 marzo: “Al fronte in sella a una Kawasaki i sorridenti guerrieri della rivoluzione”; con tanto di sottotitolo rock: “Un inno ispirato a Jim Morrison per l’esercito della nuova Libia”. Il messaggio sottinteso di questa ridicola propaganda di guerra: loro sono come noi, Gheddafi e i suoi sono dei barbari o – come pure è stato detto – “beduini”. La principale verità messa in scena riguarda però le motivazioni dell’intervento militare occidentale, ossia il presunto diritto all’ “ingerenza umanitaria”. Un memorabile testo di Danilo Zolo riferito all’aggressione alla Jugoslavia, come noto giustificata nello stesso modo, reca come titolo le prime parole di una frase di Proudhon: “Chi dice umanità cerca di ingannarti”.4 Sono parole di profonda verità. E non da oggi. Chiunque conosca la storia del colonialismo non avrà difficoltà a rinvenire i precedenti di questa giustificazione. A metà Ottocento, a sentire re Leopoldo del Belgio, la sua Associazione Internazionale per il Congo – uno dei principali strumenti del colonialismo belga – intendeva “rendere dei servigi duraturi e disinteressati alla causa del progresso”. Il raffinato storico dell’arte Ruskin nel 1870 vedeva nell’Inghilterra “un’isola che impugna lo scettro, fonte di luce e centro di pace per il mondo intero”; un’ Inghilterra il cui dovere, per adempiere a tale missione, era quello di “fondare nuove colonie il più lontano e il più rapidamente possibile, insediandovi i più energici e valorosi tra i suoi uomini”, per poi “radunare in sé la divina conoscenza di nazioni lontane, passate dalla barbarie all’umanità e redente dalla disperazione alla pace”.5 Oggi la stessa litania la sentiamo nella forma del cosiddetto “imperialismo dei diritti umani” (Ignatieff), o – addirittura – dell’“imperialismo benevolo” (Kaldor). È una litania che negli ultimi anni è stata intonata più volte: a proposito del Kosovo, dell’Afghanistan, dell’Iraq, e ora della Libia.6 Ora, è logico che chi si rende colpevole di una guerra di aggressione preferisca ammantare le proprie azioni con motivazioni altruistiche. Un po’ meno logico è che si dia credito a queste giustificazioni autoapologetiche. Ma c’è qualcos’altro da dire a questo riguardo: l’“ingerenza umanitaria”, dagli anni Novanta in poi, venuto meno il contrappeso di potere rappresentato dall’Unione Sovietica, è stata il grimaldello con cui gli Stati Uniti e i loro alleati hanno scardinato i principi di non ingerenza e di autodeterminazione dei popoli stabiliti nella Carta dell’Onu del 1948 (art. 1, par. 2 e art. 2, par. 7).7 Purtroppo, quello che oggi sembra difettare a sinistra è la capacità di capire il funzionamento di questo grimaldello e le sue conseguenze devastanti non soltanto per la pace nel mondo, ma per la stessa autodeterminazione delle nazioni.
    La verità rimossa
    Speculare alla verità messa in scena è la verità rimossa. La verità messa in scena ha infatti tra le sue principali finalità proprio quella di nascondere verità scomode. Che in questo caso sono più d’una. La prima riguarda ovviamente i veri motivi dell’intervento in Libia. Che sono essenzialmente due, tra loro legati: l’opportunità di controllare – dividendolo – un Paese come la Libia e di mettere direttamente le mani su importanti giacimenti petroliferi. “Direttamente” significa: senza le onerose (per le compagnie petrolifere occidentali) royalties che Gheddafi aveva imposto per il petrolio estratto dal territorio libico. Questo risultato sarebbe raggiunto qualora si avverasse la previsione formulata il 28 marzo dal quotidiano arabo (ma stampato a Londra) al-Quds al-Arabi: il risultato dell’ intervento militare occidentale potrebbe essere la divisione della Libia in “due stati, un Est ricco di petrolio in mano dei ribelli e un Ovest povero, diretto da Gheddafi… Una volta garantita la sicurezza dei pozzi petroliferi, potremmo trovarci di fronte ad un nuovo emirato petrolifero in Libia, a bassa densità di popolazione, protetto dall’Occidente e molto simile agli Emirati del Golfo Persico”. Che l’ obiettivo sia questo, e non la “protezione dei civili”, ce lo dice meglio di mille parole quello che sta succedendo sul campo. La Risoluzione 1973 dell’Onu, che prevedeva lo stabilimento di una “no-fly zone” per “proteggere la popolazione civile”, è stata da subito violata da Stati Uniti, Francia e Regno Unito. Che hanno immediatamente cominciato a colpire obiettivi a terra, anche quando si trattava di scontri tra l’esercito libico e i ribelli armati, e anche quando gli obiettivi colpiti erano lontani dal luogo delle operazioni. I più obiettivi, tra gli osservatori, ne hanno dato atto. Qualcuno pacatamente e senza troppo scandalizzarsi. Il generale Fabio Mini, ad esempio, ha scritto il 30 marzo per Repubblica un articolo a suo modo esemplare, che recava questo titolo: “Attacchi a terra e forze speciali. La vera guerra degli alleati per liberare la Libia da Gheddafi”. Ancora più chiaro il sottotitolo: “Non solo no-fly zone: così combatte l’Occidente”. Anche Sergio Romano si è limitato a descrivere quanto accaduto e a prevedere quanto presumibilmente accadrà: “abbiamo constatato che la no-fly zone è divenuta di fatto una guerra combattuta dal cielo (almeno per ora) contro lo stato di Gheddafi per garantire agli insorti una vittoria che sarebbe altrimenti improbabile… Dominati dal timore di fallire, gli alleati si vedranno costretti ad alzare progressivamente la soglia del loro intervento sino a trasformare la protezione dei civili in una vera e propria alleanza con i ribelli”.8 Altri, per deformazione professionale più attenti alle forme giuridiche, qualche preoccupazione l’hanno invece manifestata. È il caso di Antonio Cassese, già procuratore della Corte dell’Aja, il quale ha fatto presente che è giusto colpire un carroarmato che spara sui civili, ma siamo fuori dalla Risoluzione 1973 se è colpito un carro armato che “attacca i ribelli armati”.9 Ciò che appunto sta avvenendo in modo massiccio. Persino il New York Times, quotidiano che pure sostiene a spada tratta l’intervento in Libia, si interroga su “come possano gli alleati giustificare gli attacchi aerei contro le forze del colonnello Gheddafi intorno a Sirte se – come sembra accertato – esse godono di un diffuso sostegno in quella città e quindi non costituiscono alcuna minaccia per i civili”.10 Del resto, poche cose dimostrano il carattere tutto particolare dell’“umanitarismo” che ispirerebbe questa ennesima guerra quanto l’utilizzo massiccio di missili Tomahawk, contenenti uranio impoverito. Massimo Zucchetti, docente di impianti nucleari al Politecnico di Torino, ha calcolato l’uranio che i 112 missili sparati nei primi giorni di guerra avrebbero depositato nel Paese oggetto delle loro attenzioni “umanitarie”: si va dai 3.000 ai 400.000 chili di uranio impoverito.11
    La seconda verità scomoda che questa guerra aiuta a rimuovere riguarda la posizione, decisamente imbarazzante, dei Paesi occidentali nei confronti delle rivolte nel mondo arabo. Tutti i buoni sentimenti manifestati nel caso libico – che, come abbiamo visto, si sono per la verità tradotti in cattive azioni – aiutano a far dimenticare una verità fondamentale: ossia l’appoggio che l’Occidente ha prestato in tutti questi anni alle peggiori dittature dell’area. A cominciare da quelle investite dalla prima ondata delle proteste: Tunisia ed Egitto. Se il dittatore Ben Alì era una creatura dei servizi francesi e italiani, nel caso di Mubarak è stato l’appoggio degli Usa il puntello determinante nei suoi 30 anni di dominio incontrastato della scena politica egiziana. Per quanto riguarda gli Usa, c’è un indicatore molto concreto dell’appoggio fornito ai regimi dell’area oggi interessati da rivolte: la quantità di armi vendute a questi Paesi nel 2009. Che rappresenta la metà delle armi vendute a tutto il mondo dagli Usa. In ordine decrescente di importanza, troviamo: 7,91 miliardi di dollari il valore delle armi vendute agli Emirati Arabi Uniti, 2,89 miliardi di dollari all’Arabia Saudita, 1,9 miliardi di dollari all’Egitto, 431 milioni alla Giordania, 295 milioni al Kuwait, 197 milioni al Qatar, 60 milioni all’Oman, 15 milioni alla Tunisia e 3 milioni allo Yemen (pochi ma decisamente singolari, considerato che gli Usa formalmente considerano questo Paese uno “stato terrorista”). 12 Infine, per misurare appieno l’onestà intellettuale e la coerenza di certi interventisti socialdemocratici, varrà la pena di ricordare alcuni fatti poco noti, ma non per questo meno significativi. Tanto il partito al potere in Tunisia, quanto quello al potere in Egitto, facevano parte dell’Internazionale Socialista. Ben Alì e il suo partito (l’Assemblea Democratica Costituzionale) ne sono stati estromessi il 17 gennaio 2011, quando il regime era già crollato da 2 giorni; Mubarak e il suo partito (Partito Democratico Nazionale) il 31 gennaio, appena 11 giorni prima che Mubarak fosse estromesso dal potere. Curiosamente, nessun cenno di autocritica su questi imbarazzanti compagni di viaggio è venuto dall’Internazionale Socialista. Che, come niente fosse, il 19 marzo, al termine della riunione tenutasi ad Atene del suo Presidium, ha emesso una dichiarazione in cui si legge tra l’altro: “il successo della transizione alla democrazia in Egitto e Tunisia è di importanza vitale per l’intera regione e in particolare per coloro che hanno subito violenza e repressione in risposta alle loro rivendicazioni. In Libia vediamo che la voce del popolo non è stata ascoltata dal regime, e la situazione sta evolvendo in modo pericoloso. Condanniamo tutti gli attacchi contro civili innocenti e sosteniamo l’implementazione delle misure necessarie che possano salvare vite umane e promuovere una via d’uscita democratica dalla crisi”.13 Un via libera alla guerra: dall’appoggio ai dittatori al sostegno ai bombardamenti umanitari il passo è breve… La terza verità rimossa da questa guerra è quanto sta accadendo negli altri Paesi arabi. Questa è la tesi sostenuta da Immanuel Wallerstein, che in un suo recente intervento vede il principale scopo di questa guerra precisamente nella “grande e deliberata distrazione dalla principale battaglia politica nel mondo arabo”.14 La ricostruzione offerta da Wallerstein è molto interessante, anche perché egli fa giustamente notare che gli orientamenti a favore dell’intervento in sede Onu sono stati spostati in maniera decisiva dalla risoluzione assunta dalla Lega Araba il 12 marzo, in cui si richiedeva una “no-fly zone”. Risoluzione per la quale l’Arabia Saudita si è battuta ferocemente, conquistando anche gli incerti attraverso due concessioni formali (che si sono già in parte rivelate fittizie): solo una “no-fly zone” e nessun intervento di forze di terra occidentali. Va notato che in Bahrein il 14 marzo (ossia appena due giorni dopo la risoluzione della Lega Araba, ma prima della Risoluzione Onu contro la Libia) le proteste della maggioranza sciita della popolazione sono state soffocate nel sangue grazie all’intervento dell’esercito e dei mezzi corazzati di un altro Paese, guarda caso proprio l’Arabia Saudita. Qui sarebbe bastato molto meno di una “no-fly zone” per evitare questi eventi sanguinosi: infatti il Bahrein ospita la 5a flotta americana. Ma questo è precisamente uno dei motivi per cui nessuna moral suasion è stata esercitata dagli Stati Uniti sul sovrano del Bahrein e sui suoi alleati sauditi. Già il 23 febbraio, poche settimane prima della violenta repressione delle proteste in Bahrein, su un sito di intelligence statunitense si poteva leggere un articolo dal significativo titolo: “Perché il Bahrein è importante (più della Libia)”. Ancora più interessanti i contenuti dell’articolo: “la situazione in Libia sta andando fuori controllo e domina i media. Ci sono disordini che hanno luogo in posti meno noti, ma strategicamente più importanti. Il Bahrein è un punto di snodo cruciale sia per la competizione tra Iran e Arabia Saudita che per la possibilità per gli Usa di ritirarsi dall’Iraq. Se la situazione in Bahrein andrà fuori controllo, gli Usa potrebbero perdere una base per la loro 5a flotta; la minoranza sciita dell’Arabia Saudita potrebbe far seguito a questi avvenimenti con le proprie proteste; e la bilancia tra Iran e Arabia Saudita nella regione finirebbe per pendere fortemente a favore dell’Iran”.15 Più chiaro di così… Come si vede la verità rimossa, se portata alla luce, smaschera alla perfezione i meccanismi della menzogna e i loro moventi. Da una parte abbiamo i regimi feudali del mondo arabo, terrorizzati dall’ipotesi che anche a casa loro vengano avanzate pretese di minimale democrazia. Questi regimi però sono “affidabili” e di centrale importanza per l’Occidente, e quindi nessuna violazione dei diritti umani che colà abbia luogo sarà mai sanzionata. A meno che i popoli interessati non riescano a far valere i propri diritti, nel qual caso l’Occidente affannosamente si accoderà agli avvenimenti cercando di avvalorare l’idea di averli determinati, come in Tunisia e in Egitto - quando ovviamente le cose stanno in maniera esattamente opposta. Nel caso del Bahrein questo purtroppo non è avvenuto. E lo scoppio della guerra contro la Libia, il 19 marzo (appena 5 giorni dopo la repressione violenta delle proteste in Bahrein), ha contributo a distogliere l’opinione pubblica internazionale da quanto accadeva e accade nel piccolo – ma fondamentale – Paese arabo. Ci sono altri avvenimenti cui la guerra di Libia ha sottratto il proscenio del teatro dell’ informazione? Secondo Luca Telese sì. A suo avviso “dobbiamo combattere con più forza l’ennesimo nefasto effetto collaterale della guerra. Che è quello di modificare l’agenda del mondo, di distrarre i giornali e le tv, di nascondere con rombare mortale dei Tomahawk nel deserto africano la pestilenza della contaminazione del mondo”. Il riferimento è al disastro atomico di Fukushima, assai peggiore di quello di Chernobyl e comunicato assai peggio di questo (a proposito della trasparenza dei regimi democratici…): sia per la disinformazione posta in opera dal governo nipponico e dalla società responsabile dell’impianto, sia – appunto – a causa dei tamburi di guerra che rullano in Africa. La conclusione di Telese è del tutto condivisibile: “L’Onu dovrebbe intervenire contro un delitto che prolunga i suoi effetti per una era geologica. Invece nel frastuono si cela il silenzio. E il rumore delle bombe ci distrae dall’essenziale”.16
    La verità imbellettata
    L'eufemismo è espressione di una delle fondamentali malattie politico-morali della nostra società: l'ipocrisia. Se La Rochefoucauld definiva l’ipocrisia come “l'onore che il vizio rende alla virtù”, possiamo ben definire l’eufemismo come “l’onore che la menzogna rende alla verità”. 17 Il campionario di eufemismi che il nostro tempo ci pone dinanzi agli occhi è impressionante. Tanto da farci ritenere che la loro individuazione ed il loro smascheramento rappresentino oggi uno dei compiti principali del pensiero critico. La maggior parte degli eufemismi comporta una semplice riformulazione tranquillizzante e rassicurante, attraverso la quale il fenomeno descritto viene per così dire addomesticato e reso innocuo, ossia non più in grado di suscitare reazioni ostili (indignazione, protesta, ecc.). Ovviamente la guerra è per sua natura (ossia per il suo intrinseco orrore) l’àmbito privilegiato per l’impiego degli eufemismi. Il caso libico non fa eccezione. “Missione umanitaria”, “ingerenza umanitaria”, “raid umanitari”, “uso della forza”, “regime
    change” (che sta per “invasione militare”). Ma nel caso della guerra, in fondo, lo stesso tabù rappresentato dall’uso di questa parola è ormai caduto. E l’eufemismo si può esprimere quindi sotto forma di qualificazione ed aggettivazione della parola “guerra”: abbiamo così la “guerra per la democrazia”, ed è stata rispolverata per l’occasione anche l’espressione di “guerra umanitaria” (uno degli ossimori più macabri – ma più fortunati – escogitati nei nostri anni). Ovviamente, per quanto la guerra venga ammantata di scopi elevati, resta sempre il problema di definire in modo consono le vittime civili della guerra stessa. Si tratta di un problema particolarmente imbarazzante in questo caso, in quanto secondo la versione ufficiale la guerra di Libia sarebbe stata intrapresa precisamente per proteggere i civili. In questo caso anche parlare di “effetti collaterali” (la definizione che si adopera usualmente, come se fossero contingenti e trascurabili, anziché una componente essenziale della guerra stessa) non funziona. Al contrario, fa saltare anche gli altri eufemismi. Non stupisce quindi che il 31 marzo il rappresentante del Vaticano a Tripoli, monsignor Giuseppe Martinelli, nel dare la notizia di 40 civili morti in un palazzo crollato nella capitale libica, ne abbia parlato in questi termini: “I raid cosiddetti umanitari hanno fatto decine di vittime tra i civili in alcuni quartieri di Tripoli.” Il giorno successivo tocca al direttore di Avvenire, Marco Tarquinio, insistere sul punto: “La missione militare internazionale anti-Gheddafi è, come abbiamo avvertito sin dal primo giorno, una missione di guerra. Produce comunque dolore e distruzione e se non difende il 'bene' per cui e' stata autorizzata e avviata - l'incolumità della popolazione inerme e la sua libertà dalla paura e dalla costrizione - si dimostra insensata e ingiusta.

Perché si rivela incontestabilmente condotta secondo finalità diverse da quelle del mandato Onu (un edificio civile di Tripoli non è un aereo del rais e non ''minaccia'' i cittadini di Bengasi o di Sirte) e si converte nel suo contrario. Diventa, cioè, aggressione”.18
    Le due parole chiave: democrazia e imperialismo
    Questa breve rassegna di meccanismi di costruzione/propagazione della menzogna dovrebbe essere sufficiente ad intendere l’enorme abbaglio preso da tutti coloro i quali, a sinistra, hanno plaudito all’attacco contro la Libia. Non è sufficiente, però, a spiegare come questo abbaglio sia stato possibile. La chiave di volta è tutta racchiusa in due parole, l’una abusata, l’altra indicibile: democrazia e imperialismo. Il punto essenziale da intendere è che nella costruzione del consenso,
    molto più delle mistificazioni su singoli fatti, contano i cliché, i frames interpretativi. Un cliché molto forte, e radicato anche a sinistra, è quello che vede l’Occidente come portatore di un sistema politico superiore: la democrazia. Si tratta di un cliché fondamentale nel discorso ideologico contemporaneo. L’Occidente è portatore della “democrazia” e nemico delle “dittature” e dei “totalitarismi”. “Le nostre armi non sono venute nelle vostre città e nelle vostre contrade come conquistatori o nemici, ma piuttosto come liberatori”. Sembra di sentire Obama o Sarkozy: invece è il generale britannico Frederick Stanley Maude, che pronunciò queste parole nel 1920, durante l’occupazione coloniale britannica dell’Iraq.19 Per intendere la portata di questo cliché, basterà rammentare che esso anni fa ha consentito a Tony Blair addirittura di fare un uso apologetico della scoperta delle torture praticate in Iraq dai soldati inglesi: “La differenza tra democrazia e tirannia non è che in una democrazia non accadono cose brutte, ma che quando accadono se ne chiede conto ai responsabili”.20 In sintesi: se le porcherie che facciamo non vengono scoperte, il nostro è un sistema politico superiore perché non c’è nulla che dimostri il contrario; se vengono scoperte, il fatto stesso che vengano scoperte dimostra che il nostro è un sistema politico superiore. Lo schema può essere variato all’infinito: così, si può argomentare che la scoperta delle menzogne di guerra di Bush o di Obama dimostra la buona fede degli Usa e la trasparenza del sistema. Gli esempi di questa confutazione che conferma si potrebbero moltiplicare. Ma non mancano neppure più ardite teorizzazioni. Come l’idea, decisamente singolare, che il fatto di essere una “democrazia” renda un Paese magicamente immune da ogni macchia, qualunque cosa combini: è quello che da noi ha detto Giulio Tremonti, per il quale, “se dietro una bandiera c’è una democrazia non c’è mai fango”.21 Prima guerra mondiale, colonialismi, sostegno a regimi sanguinari e interventi armati statunitensi in mezzo mondo? Tutto cancellato da questa paroletta magica. La funzione più importante del cliché della “superiorità democratica” è però ancora un’altra. Da questo luogo comune discende infatti che è
    legittimo (e qualcuno dice addirittura: necessario) esportare la democrazia. È noto che sul presupposto della “legittimità di esportare la democrazia” è stata costruita – una volta venute meno quelle originarie – una giustificazione posticcia dell’ invasione dell’Iraq: che sarebbe avvenuta, appunto, allo scopo di “esportare la democrazia”. 22 Chiunque conosca la storia del colonialismo non avrà difficoltà a rinvenire i precedenti di questa giustificazione (alcuni li ho riportati più sopra). Ma la cosa più importante da tenere presente riguarda l’uso recente di questo cliché: perché è precisamente su questo punto che il movimento contro la guerra in Iraq ha infine finito per dividersi. In molti, anche a sinistra, hanno a un certo punto finito per pensare – come Michael Ignatieff – che “la promozione della democrazia da parte degli Stati Uniti abbia dimostrato di essere una buona idea”.23 Idea tanto più assurda in quanto l’esportazione della democrazia altro non era che una giustificazione “di riserva” dell’aggressione dell’Iraq. Ma questo non conta: è infatti tipico dei luoghi comuni manifestare una capacità di resistere e “tenere” nonostante ogni evidenza contraria. È quella che altrove ho definito la “filosofia dell’anche se”.24 In effetti, il discorso dominante, anche nella sua variante liberal e “critica”, ci ripete continuamente, dalle pagine dei giornali come dagli schermi televisivi, che gli eserciti dell’Occidente portano la civiltà, anche se ammazzano, torturano, usano armi di distruzione di massa proibite dai trattati internazionali e disgregano Stati sovrani; che l’Occidente porta la democrazia anche se, come nell’Iraq del 2005, le elezioni sono truccate, anche se oltre metà della popolazione non si reca a votare, anche se il sistema di elezione adoperato è per etnia (principio democratico non proprio modernissimo) e tale da condurre alla disgregazione del Paese stesso, anche se la Costituzione torna alla religione di Stato, anche se la sharia è reintrodotta in un Paese che prima era laico. Tutti questi fatti, ciascuno dei quali sarebbe sufficiente a confutare l’assunto, vengono interpretati quali errori, limiti e difficoltà contingenti che incidentalmente accompagnano intenti lodevoli e generosi: al massimo, come una conseguenza inattesa delle proprie generose iniziative o come la classica eccezione che conferma la regola. È troppo facile spiegare questa tenuta dei luoghi comuni semplicemente con la loro diffusione attraverso i media (e si tratterebbe, comunque, di una spiegazione pericolosamente prossima ad un ragionamento circolare). Un motivo importante della forza del luogo comune citato è senz’altro il fatto che esso adopera una parola chiave del lessico politico-mediatico contemporaneo quale “democrazia”. E la usa precisamente nel senso scarnificato - e assai lontano dal significato originario di “potere del popolo” - ormai invalso: quello di democrazia elettorale, ossia di un sistema politico che prevede che si vada a votare di quando in quando per eleggere i propri rappresentanti. Che poi – come accade in Italia - anche questo ormai avvenga con sistemi elettorali eminentemente antidemocratici, per i quali cioè il voto di ciascuno non pesa allo stesso modo; che il sistema politico sia ormai del tutto sbilanciato sull’esecutivo anziché essere un sistema parlamentare; che la stessa divisione dei poteri sia sempre più minacciata dall’ arroganza dell’esecutivo; che, last but not least, l’ambito delle decisioni politiche sia sempre più ristretto a fronte delle decisioni dei poteri economici: tutto questo non sembra scalfire minimamente la fede nella “democrazia”. Ma è
    precisamente per questo che una sinistra degna di questo nome oggi deve affrontare con coraggio la battaglia delle idee su questo terreno, dimostrando il carattere regressivo assunto dai sistemi politici “democratici” occidentali negli ultimi decenni. E argomentando che soltanto le lotte delle classi subalterne hanno potuto strappare in passato dei risultati sul terreno della democrazia reale, oggi in gran parte perduti per il mutare dei rapporti di forza in senso sfavorevole. L’altro termine, da tempo desueto e ormai indicibile, è quello di imperialismo. La connotazione negativa di questo termine era stata, sul principio del XX secolo, una delle più significative vittorie del pensiero progressista dal punto di vista del lessico politico. La tradizione comunista si alimentò, negli anni della prima guerra mondiale e in quelli immediatamente successivi, di un dibattito che fece largo uso di questa categoria (Lenin, Bucharin, Luxemburg), che legava fortemente l’analisi dell’aggressività militare alle sue basi economiche. Nel secondo dopoguerra il termine è stato spesso adoperato schiacciandolo sulla dimensione militare (l’ espressione “imperialismo Usa” era spesso usata con esclusivo riferimento al soverchiante potere militare degli Stati Uniti). Negli ultimi due decenni, infine, questa categoria è stata abbandonata dai più, talvolta a favore di categorie più confuse – ma più à la page – come quella di “impero” (in verità una riproposizione dell’errata teoria kautskiana del “superimperialismo”), più spesso a favore di un’ adesione pura e semplice al pensiero unico neoliberale. Oggi Alberto Burgio sospetta che dietro l’interventismo democratico di sinistra nel caso libico ci sia anche il rifiuto “della strumentazione concettuale della critica all’imperialismo”, considerata “arcaica e per di più contaminata dall’esperienza del movimento comunista novecentesco”.25 Burgio ha pienamente ragione, ed è quindi opportuno sgombrare il campo da qualche equivoco. Il primo punto da mettere in chiaro è il seguente: il concetto di imperialismo, se lo prendiamo nell’accezione leniniana, ha ancora molto da dirci sulla situazione attuale. Per intendersi su questo è sufficiente partire dai "cinque principali contrassegni" che secondo Lenin dovevano essere contenuti nella definizione di "imperialismo",
    ossia:
    "1. la concentrazione della produzione e del capitale, che ha raggiunto un grado talmente alto di sviluppo da creare i monopoli con funzione decisiva nella vita economica;
    2. la fusione del capitale bancario col capitale industriale e il formarsi, sulla base di questo 'capitale finanziario', di un'oligarchia finanziaria;
    3. la grande importanza acquistata dall'esportazione di capitale in confronto con l'esportazione di merci;
    4. il sorgere di associazioni monopolistiche internazionali di capitalisti, che si ripartiscono il mondo;
    5. la compiuta ripartizione della terra tra le più grandi potenze capitalistiche."26
    Rispetto a queste cinque componenti della definizione di imperialismo, è francamente difficile trovare alcunché di "superato". Il grado di concentrazione delle imprese ha toccato livelli mai raggiunti in passato; quanto al ruolo ed all'importanza del capitale finanziario è sufficiente sfogliare qualche quotidiano; i flussi finanziari internazionali sono ormai un multiplo (e per giunta elevato) dei flussi commerciali; i monopoli sono un tale problema che le principali economie capitalistiche si sono dotate di apposite autorità Antitrust (generalmente di dubbia efficacia); infine, la ripartizione del globo terrestre tra le più grandi potenze imperialistiche non sarà
    "compiuta" (nel senso di definitivamente stabilita), ma è inequivocabile.27 Va semmai notato che negli ultimi anni questa “ripartizione” ha assunto per lo più la forma di egemonia valutaria e di lotta per l’egemonia valutaria. Si può concludere che i conflitti interimperialistici oggi hanno luogo, più ancora che tra nazioni, tra aree valutarie. Queste ultime hanno carattere sovranazionale, e il loro riferimento geografico è solo grosso modo coincidente con un insieme di stati confinanti tra loro.28 L'equivalente odierno delle vecchie politiche di "contenimento" esercitate da un paese imperialista contro l'espansione territoriale di un altro paese imperialista è quindi rappresentato dalle iniziative volte ad impedire l'espansione di un'area valutaria. La stessa guerra irachena è stata anche questo. Ovviamente, gli interessi possono essere di natura diversa e intrecciati tra loro: ad es., la guerra del 1999 contro la Jugoslavia vede da un lato gli interessi degli Usa, che assestano un formidabile colpo all’euro con una guerra nel cuore dell’Europa, dall’altro quelli del capitale tedesco, che cerca (e otterrà) un’ espansione nei Balcani. La crisi iniziata nel 2007, e ancora ben lontana dall’essere superata, ha introdotto alcune importanti novità in questo quadro.
    1) Da una parte, in presenza di un’evidente crisi di valorizzazione del capitale nei Paesi a capitalismo maturo, ha acutizzato la necessità di contenere o ridurre il costo delle materie prime energetiche per far ripartire i profitti (la situazione è ora ulteriormente complicata dal disastro di Fukushima, che di fatto ha sbarrato la strada alla soluzione del problema fondata sull’energia nucleare).
    2) Dall’altra, ha evidenziato che gli Stati imperialisti sono potenze declinanti. Guarda caso, questo declino è particolarmente evidente nel caso dei promotori dell’ avventura libica: gli Stati Uniti, il Regno Unito e la Francia. Mentre la potenza europea che sta uscendo meglio dalla crisi, la Germania, si è astenuta sulla Risoluzione 1973 e poi ha criticato fortemente l’andamento delle operazioni militari.
    3) Inoltre, la stessa crisi ha ormai aperto gli occhi a chiunque sul fatto che le potenze emergenti giocheranno un ruolo sempre maggiore nella ripartizione della ricchezza mondiale, a scapito delle potenze imperialistiche declinanti. E non è un caso che nessuno dei Paesi BRIC (Brasile, Russia, India e Cina) abbia votato a favore della Risoluzione Onu che ha aperto la strada all’intervento militare. Il portavoce del ministro degli esteri cinese ha poi criticato l’aggressione come “un uso abusivo della forza e un uso innecessario della violenza”.29 Analoghe critiche sono venute dal presidente e dal premier russi.
    4) Infine, la crisi ha spazzato via l’illusione (coltivata da molti soprattutto in Europa) che l’ordine valutario mondiale possa reggersi su una diarchia dollaro-euro: è al contrario sempre più probabile (e coerente con le dinamiche dello sviluppo economico in essere) che si affermi un terzo polo valutario asiatico. Questo potrebbe rendere meno esacerbato lo scontro tra Europa e Stati Uniti e forse nel medio periodo anche condurre a un’entente cordiale in funzione anticinese; nel breve periodo, rende più probabili azioni militari condotte di comune accordo sotto la copertura della Nato. Che lezione possiamo trarre da tutto questo? In primo luogo, per parafrasare von Clausewitz, che lo strumento militare è, oggi come ieri, la continuazione della politica economica con altri mezzi, e che esso viene adoperato di preferenza in situazioni di difficoltà economica: l’imperialismo aumenta la propria aggressività militare quanto più si verifica una crisi di valorizzazione del capitale e quanto più le tradizionali forme economiche di dominio mostrano la
    corda.30 Questo non dovrebbe rassicurarci. In secondo luogo, che lo stesso campo imperialista è diviso al suo interno: la non belligeranza della Germania non è davvero cosa di poco conto, ed è un dato positivo da tenere presente, perché evidenzia contraddizioni reali nel campo imperialista e all’interno della stessa Unione Europea. Ma la lezione più importante è un’altra. Il fatto di accettare la centralità della categoria di democrazia elettorale e il rifiuto di quella di imperialismo induce a far proprio il presupposto ideologico di fondo della propaganda di guerra: ossia a condividere l’assunto che le azioni degli Stati capitalistici siano mosse da elevati motivi ideali anziché da motivazioni di carattere economico. Si tratta di un grave errore politico, che impedisce di scorgere le dinamiche reali che muovono gli Stati e che finisce per collocare chi lo compie ben al di sotto degli stessi analisti borghesi di geopolitica (non a caso spesso accusati di “cinismo” dai benpensanti). È un errore che è stato compiuto a più riprese in questi anni, finendo per accettare come naturale - o addirittura per auspicare - il succedersi di guerre “umanitarie” che altro non sono se non avventure militari imperialistiche. Lo stesso ripetersi degli “interventi umanitari” ha
    rafforzato il cliché e ne ha aumentato la forza di penetrazione nell’opinione pubblica. Come sapeva lo Hegel delle Lezioni sulla filosofia della storia citato in apertura di questo articolo, “attraverso la ripetizione, ciò che inizialmente appariva solo come accidentale e possibile, diventa qualcosa di reale e consolidato”. Precisamente per questo motivo, si tratta di un terreno su cui non possiamo concedere nulla all’avversario.
    1 Una eloquente foto aerea della piazza si può vedere in S. Rampton,
    J. Stauber, Vendere la guerra, tr. it. Ozzano dell’Emilia, Nuovi Mondi Media, 2003, p. 11. In argomento vedi anche: http://www.sourcewatch.org/index.php?title=Toppling_the_statue_of_Sad... e A. Negri, “Quella notte di fuoco a Baghdad”, Il Sole 24 Ore, 16 marzo 2008.
    2 Tutta l’intervista ad A. Ricucci è molto interessante: http://www.libera.tv/videos/1151/ecco-tutte-le-bugie-che-ci-hanno-rac...
    3 F. de Veck, “Furcht und Schrecken”, Frankfurter Allgemeine Zeitung, 18 marzo 2003. In argomento vedi V. Giacché, La fabbrica del falso. Strategie della menzogna nella politica contemporanea, Roma, DeriveApprodi, 2011, pp. 49-50.
    4 D. Zolo, Chi dice umanità. Guerra, diritto e ordine globale, Torino, Einaudi, 2000.
    5 Le citazioni di re Leopoldo del Belgio e John Ruskin sono tratte da E.W. Said, Cultura e imperialismo, Roma, Gamberetti, 1998, p. 192 e 129 (tutto il brano di Ruskin riportato da Said, tratto dalle Slade Lectures, è di estremo interesse).
    6 Per Mary Kaldor vedi D. Bensaïd, Gli Irriducibili. Teoremi della resistenza allo spirito del tempo, 2001; tr. it. Trieste, Asterios, 2004, p. 76.
    7 Sul punto vedi B. Steri, “Chi non si arruola è un disertore”, in Liberazione, 25 marzo 2011.
    8 S. Romano, rubrica “L’europeo”, Panorama, 7 aprile 2011.
    9 Cit. in T. Di Francesco, “In un vicolo cieco”, il manifesto, 31 marzo 2011.
    10 K. Fahim, D.D. Kirkpatrick, “Rebel Advance Halted Outside Qaddafi’s Hometown”, the New York Times, 28 marzo 2011.
    11 T. De Berlanga, “La pace impoverita dall’uranio nei Tomahawk”, il manifesto, 2 aprile 2011.
    12 K. Fitz-Gerald, “Will Egypt End the ‘Obama Arms Bazaar’?”, Money Morning, 16 febbraio 2011. Reperibile in rete all’indirizzo:
    http://moneymorning.com/2011/02/16/will-egypt-end-the-obama-arms-bazaar/
    13 Cfr. http://www.socialistinternational.org/viewArticle.cfm?ArticleID=2103 . I provvedimenti di espulsione dei “partiti fratelli” tunisino ed egiziano si trovano, sempre sul sito dell’Internazionale Socialista, ai seguenti link: http://www.socialistinternational.org/viewArticle.cfm?ArticleID=2085 e http://www.socialistinternational.org/images/dynamicImages/files/Lett....
    14 I. Wallerstein, “The Great Libyan Distraction”, ZCommunications, 1° aprile 2011. Link: http://www.zcommunications.org/the-great-libyan-distraction-by-immanu...
    15 “Why Bahrain matters (more than Libya)”, newsletter di www.stratfor.com del 23 febbraio 2011. Cfr. anche G. Friedman, “Bahrain and the Battle Between Iran and Saudi Arabia”, Stratfor, 8 marzo 2011. Link: http://www.stratfor.com/weekly/20110307-bahrain-and-battle-between-ir...
    16 L. Telese, “Rompiamo il silenzio atomico”, il Fatto Quotidiano, 1° aprile 2011.
    17 F. de La Rochefoucauld, Massime, § 218; tr. it. Milano, Rizzoli, 1978, 19946, p. 157, qui riprodotta con lievi modifiche.
    18 A. Bonanni, “‘A Tripoli 40 civili uccisi dai raid’. L’Alleanza apre un’inchiesta”, la Repubblica, 1° aprile 2011. M. Tarquinio, “Il senso dell’intervento: urgenza di sapere”, Avvenire, 1° aprile 2011.
    19 Cit. in S. Chiarini, “Le lezioni ignorate della storia”, il manifesto, 14 agosto 2004. Allora questa allocuzione non portò molta fortuna agli invasori: già nell’estate dello stesso anno il Paese era
    in piena rivolta, che solo una brutale repressione militare potè battere (al prezzo di alienarsi definitivamente le già scarse simpatie della popolazione irachena).
    20 O. Casagrande, “Blair sulle torture: ‘Foto scioccanti’”, il manifesto, 20 gennaio 2005.
    21 Dichiarazione riportata dall’Agenzia Ansa il 13 maggio 2004.
    22 Emblematico T. Blair, “Perché combattiamo questa guerra”, la Repubblica, 13 aprile 2004. E già un fondo del “Foglio” dal titolo surreale: “L’arma di distruzione è la dittatura”, 4 ottobre 2003. Oggi la natura posticcia e strumentale di questa spiegazione della guerra è condivisa perfino da F. Fukuyama, “La fine della storia non esporta la democrazia”, la Repubblica, 3 aprile 2007.
    23 M. Ignatieff, “L’impero dei diritti dell’uomo”, Corriere della Sera, 24 gennaio 2005.
    24 La fabbrica del falso, cit., pp. 60-61.
    25 A. Burgio, “2 aprile, democratici contro geopolitici”, il manifesto, 30 marzo 2011.
    26 V.I. Lenin, L'imperialismo, fase suprema del capitalismo, 1916; tr.it. in Scritti economici, a cura di U. Cerroni, Roma, 1977, p. 571.
    27 Del resto lo stesso Lenin precisa che la "compiutezza" della spartizione imperialistica del mondo significa che "il mondo per la prima volta appare completamente ripartito sicché in avvenire sarà possibile soltanto una nuova spartizione" (ivi, p. 560).
    28 Ad esempio, molti dei cosiddetti Territori d'Oltremare, che fanno parte a tutti gli effetti dell'area dell'euro, si trovano a migliaia di chilometri dall'Europa.
    29 Yizhen Zheng, “Why China has abstained from UN’s Resolution on Libya”, China Elections and Governance, 30 marzo 2011. Link: http://chinaelectionsblog.net/?p=14845 .
    30 Sul nesso tra il venir meno della valorizzazione del capitale e il manifestarsi del “carattere aggressivo dell’imperialismo” insiste a più riprese H. Grossmann, Il crollo del capitalismo. La legge dell’accumulazione e del crollo del sistema capitalista, 1929; tr. it Milano, Mimesis, 2010, pp. 255, 281, 284-5; vedi anche, sugli effetti positivi (in termini capitalistici) della guerra in quanto provoca la svalutazione del capitale esistente, le pp. 346-347.
    * Pubblicato su “Essere Comunisti”, aprile 2011, pp. 19-29
    http://www.contropiano.org/it/archivio-news/documenti/item/1219-la-fabbrica-del-falso-sulla-guerra-in-libia

    Pedofilia, Amnesty International critica duramente la Santa Sede

    Anche il Rapporto 2011 di Amnesty International non ha lesinato critiche alla Santa Sede. Nel documento la si accusa di non aver “adempiuto in modo sufficiente ai propri obblighi internazionali in materia di protezione dei minori”, e di non aver ancora presentato “il suo secondo rapporto periodico sulla Convenzione per l’infanzia, che doveva presentare nel 1997, né il rapporto iniziale sulla Convenzione contro la tortura, che doveva presentare nel 2003″. Il rapporto denuncia “il costante fallimento della Chiesa cattolica nell’affrontare correttamente il problema dei diffusi abusi sessuali su minori commessi da membri del clero negli ultimi decenni”, in particolare “la mancata rimozione dei presunti responsabili dai loro incarichi in attesa di indagini adeguate, la mancata cooperazione con le autorità giudiziarie per portarli dinanzi alla giustizia e il non aver garantito un’adeguata riparazione alle vittime”. Il documento, che raccoglie anche le intenzioni manifestate da Benedetto XVI di sanare il problema, ricorda infine che le modifiche al diritto canonico promulgate a maggio, che pure “hanno introdotto i “delitti” di pedopornografia e di abuso di persone con disabilità mentali”, non includono però “l’obbligo per le autorità ecclesiastiche di denunciare i casi alle autorità civili per le indagini penali”.
    http://www.uaar.it/news/2011/05/15/pedofilia-amnesty-international-critica-duramente-la-santa-sede/

    a passo di corsa verso la terza guerra mondiale

    TEHERAN. Non hanno perso tempo. Tutto è iniziato con un con un flash d’agenzia secondo il quale Iran e il Pakistan s’impegnano a combattere il terrorismo nella Regione. Ad affermarlo è stato Ali Larijani, presidente del Majlis, il Parlamento iraniano, al termine dell’incontro col collega pachistano Farooq Naik. Entrambi hanno sollecitato una più stretta cooperazione tra gli apparati di sicurezza dei due Paesi, come ha riferito appunto l’agenzia IRNA. Una dichiarazione che rientrerebbe nelle consuetudini delle relazioni dei due Paesi amici, ma che si colora di significato perché diffusa pochi giorni (2 maggio) dopo l’eliminazione di Osama bin Laden.
    E così la visita a Teheran del presidente del Senato pakistano Naik che si annunciava di routine è diventata, come ha riferito lo scarno comunicato dell’agenzia IRNA, l’occasione per un approfondito esame sulle “ questioni di interesse comune e sugli ultimi eventi nella Regione”. Infatti, il presidente Farooq Naik é stato ricevuto dal presidente Mahmoud Ahmadinejad, dal ministro degli Esteri, Ali Akbar Salehi, e dal segretario del supremo Consiglio per la sicurezza nazionale Saeed Jalili.
    Di certo, Naik avrà loro ribadito che l’assalto senza preavviso del commando americano venuto dall’Afghanistan è stato inteso dal suo Paese come una violazione vera, simile se non paragonabile a un’invasione di terra, e comunque ad un affronto. Si tenga a mente che il capo di stato maggiore, generale Ashfaq Kayani, il vero uomo forte del Pakistan, si era affrettato a dichiarare all’indomani del blitz che “ogni altra azione di questo genere” comporterebbe una revisione della collaborazione con gli Stati Uniti. Una minaccia che certamente non dispiace ai loro vicini persiani.
    Dopotutto il rapporto di amicizia che lega l’Iran al Pakistan si salda su un’ansia condivisa: il considerare i talebani e l’influenza statunitense i due maggiori pericoli per la stabilità regionale. E quindi c’è un impegno che accomuna i due Paesi: evitare a tutti i costi che gli Stati Uniti controllino le esportazioni di energia in Asia centrale. E’ infatti l’Iran (non altri gruppi di interessi) che finanzia la costruzione di una ferrovia e di un gasdotto dal Tùrkmenistan a Meshad, nell’Iran orientale, che permettono al paese centroasiatico di esportare beni e gas in Iran e, dai porti iraniani, all’estero. Anche la diversità religiosa che li distingue è vissuta con serenità perché in nessun paese dell’Asia centrale, e quindi anche in Pakistan, l’Iran degli ayatollah propaganda i precetti della fede sciita o della rivoluzione islamica, così come fa in Medio Oriente. La ragione è semplice: gli ayatollah hanno capito che l’ideologia sciita non sarebbe stata ben accetta nell’Asia centrale di radicata tradizione sunnita.
    Cosìcché, è meglio stringere relazioni tra Stato e Stato e saldarle con contratti commerciali cementati dalla riconoscenza, perché l’Iran è stato il maggior fornitore di armamenti dell’alleanza antitalebana e la sua caparbia volontà di tener testa ai talebani ne ha incrementato la stima nella Regione. In realtà l’Iran ha un altro importante obiettivo strategico, che collima con quello della Russia: bloccare la crescita del radicalismo islamico sunnita, sia che si manifesti nei talebani in Afghanistan, sia negli estremisti sunniti in Pakistan e sia negli integralisti del Movimento islamico dell'Uzbekistan (MIU) e del partito extranazionale Tahrir che, muovendosi lungo le tortuose frontiere tra Tagikistan, Kirghizistan e Uzbekistan, per anni ha messo in scacco l'esercito uzbeco, il più potente della Regione.
    E’ anche l’intelligente vocazione delle tonache al business che ha rassicurato le compagnie europee e le asiatiche, le quali hanno aperto le loro sedi a Teheran con l’intenzione non soltanto di investire nei giacimenti di petrolio e di gas iraniani, ma anche di riconsiderare le opzioni per le vie di esportazione dall’Asia centrale. Infatti, l’Iran è riuscito da qualche lustro a questa parte a organizzare gli scambi di petrolio: quello centro asiatico raggiunge i porti iraniani sul Mar Caspio per essere usato dall’industria del Paese e, in cambio, l’Iran cede agli Stati centro asiatici il petrolio iraniano situato presso i porti del Golfo da vendere sul mercato internazionale.
    Il sodalizio funziona. Gli ayatollah riescono a tener testa con più vigore al confronto, come quando gli Stati Uniti gli hanno bloccato i tentativi dì costruire pipeline in Asia centrale e l’Iran ha risposto tenendo fuori dalla regione le compagnie statunitensi, o come quando ha bloccato il progetto di gasdotto dal Turkmenistan al Pakistan, della compagnia statunitense Unocal.
    Infine, gli ayatollah sanno bene che a differenza del proprio Paese, un monolito sciita, o dell’Arabia Saudita, integralmente wahabita, il Pakistan mescola così tante versioni e sette sunnite da non poter essere preda di un unico movimento fondamentalista. E’ vero che i poveri, incapaci di accedere a una giustizia corrotta e inefficiente, devono ricorrere alla sharia, cioè alla giustizia amministrata da capi locali secondo il Corano, ma l’Islam non offre un’alternativa statuale credibile, come appunto avviene nel vicino Iran, dove i pragmatici ayatollah si sono rivelati, da sempre, maestri come pochi altri nel conciliare “il diavolo con l’acqua santa”.
    Essi si sono mantenuti sempre cauti anche quando c’erano pretesti più che validi per rompere le relazioni col Pakistan, come quando l’Iran pareva determinato a bloccare, come detto, la crescita del radicalismo islamico sunnita in Pakistan. Inoltre, l’Iran più volte ha dato prova di essere determinato rispondendo con forza ai frequenti massacri degli scìiti in Pakistan da parte dei gruppi estremisti sunniti e in Afghanistan da parte dei talebani, condannando il Pakistan e, in alcuni momenti, chiudendo i confini con l’Afghanistan talebano.
    Tuttavia gli ayatollah ha sempre cercato un’intesa piuttosto che inasprire il conflitto. Non ci vuol molto a capire il perché. Il Pakistan è un paese enorme, con 180 milioni di abitanti, il doppio dell’Iran, sei volte l’Afghanistan, due terzi dell’intera nazione araba. Poi, il Pakistan è una potenza nucleare e l’Iran non lo è. Inoltre il Pakistan, come osserva il professor Anatol Lieven, che insegna relazioni internazionali e studi del terrorismo al King’s College di Londra e autore di “Pakistan: A Hard Country”, nelle librerie londinesi da qualche settimana. (http://www.guardian.co.uk/books/2011/may/01/pakistan-hard-country-anatol-lieven-book-review?INTCMP=SRCH) «ha seminato (grazie allo scienziato canaglia Abdul Qadeer Khan) tecnologia nucleare dalla Corea del Nord alla Libia; ha incubato, tollerato e, qualcuno sospetta, incoraggiato numerosi attentati che hanno colpito l’Occidente e l’India, come i massacri negli alberghi di Mumbai del 2008; ha nelle forze armate l’unica struttura efficiente dello Stato, sicché il capo di stato maggiore, generale Ashfaq Kayani, una sfinge imperscrutabile, è il vero uomo forte del Paese, che fa politica interna ed estera tramite l’Isi, i servizi segreti; è strategicamente collocato fra Cina, India e Iran, a volte vaso di coccio tra vasi di ferro, più spesso ferita infetta (basta pensare al Kashmir) che contagia i vicini, e in gran parte condivide l’etnia pashtun con il contiguo Afghanistan».
    Si tenga a mente poi che da quando è crollata l’Unione Sovietica, la politica estera americana si è votata a studiare gli interventi più idonei per poter controllare direttamente i flussi delle risorse strategiche presenti nell’ Asia Centrale e Meridionale. L’attenzione posta ai giacimenti di petrolio e gas situati in Azerbaigian, Georgia e Turchia, nelle repubbliche ex-sovietiche dell’Asia Centrale e l’instaurazione di regimi alleati in Afghanistan e in Iraq rientrano nelle strategie con le quali gli Stati Uniti cercano di controllare le principali fonti di energia a livello planetario, (http://www.altrenotizie.org/cultura/3988-la-seconda-rivoluzione-americana.html), senza tralasciare le aree a cui la Cina e l’India guardano con crescente interesse poiché da esse dipende la loro ascesa economica.
    In questo scenario l’Iran rappresenta un serio ostacolo per gli interessi statunitensi nella Regione e pertanto la rinsaldata amicizia col Pakistan è vista con crescente preoccupazione. Anche perché c’è pure la Gazprom russa che è fortemente interessata ad investire nella realizzazione del gasdotto IPI (Iran, Pakistan, India), denominato anche “gasdotto della pace”, nell’ottica di una possibile distensione dei rapporti tra Delhi e Islamabad, grazie alla condivisione del gas iraniano.
    La stessa compagnia russa è impegnata nello sviluppo dei giacimenti di South Pars nel Golfo Persico e in ripetute occasioni ha invocato che all’interno del progetto IPI venga inclusa anche la Cina al fine di legare economicamente, energeticamente e commercialmente Russia, Cina, India, Pakistan e Iran.
    Sicché il timore degli Stati Uniti di perdere la leadership mondiale (http://www.altrenotizie.org/societa/3956-noi-strascinati-dagli-americani.html) è stato la molla che li ha indotti al blitz di Abbottabad, durante il quale è stato eliminato Osama bin Laden che era praticamente ospite dell’accademia militare pakistana. Malauguratamente essi hanno sottovalutato, o forse - peggio ancora - non hanno tenuto affatto in conto, la plateale violazione della sovranità pakistana che l’attuazione del blitz avrebbe comportato.
    Pertanto, la risposta ferma del generale Ashfaq Kayani, va ben oltre le parole pronunciate se si tiene in mente lo scenario che le circondano. Siccome la strada s’annuncia lunga e tortuosa, c’è soltanto da augurarsi che gi Stati Uniti non decidano di segarla - perdendo ( ancora una volta) ” il loro senno collettivo” - e si lancino in un’invasione di terra del Pakistan. Non è fantapolitica poiché da come si sta muovendo il presidente Barack Obama non è diverso dal suo predecessore, George Walker Bush. Egli avanza con la stessa scompostezza, con l’identica violenza del ciclone. Non soltanto visto qui, da Teheran.
    http://www.altrenotizie.org/esteri/4028-obama-nel-centro-del-ciclone-.html