lunedì 27 ottobre 2008

Se tutto deve rimanere com'è, è necessario che tutto cambi.
Giuseppe Tomasi Di Lampedusa, Il Gattopardo

Il colore dei soldi. La campagna di Barack Obama ha raccolto oltre 600 milioni di dollari, eguagliando quasi i fondi raccolti in donazioni private da tutti i candidati di entrambi i maggiori partiti nel 2004.
Da dovete pensate che venga tutta questa grana?
"Molti di questi grandi donatori vengono dalle industrie con interessi su Washington. E' la scoperta di un'analisi del New York Times sui donatori che hanno firmato assegni di 25.000 dollari o più ai comitati di raccolta fondi. Per esempio, la quota maggiore di denaro per entrambi i candidati è venuta dalle industrie di sicurezza ed investimenti, tra cui i dirigenti di varie aziende coinvolte nella recente crisi finanziaria come Bear Stearns, Lehman Brothers e AIG. (...) Oltre 600 donatori hanno contribuito con 25.000 dollari o più [per Obama] nel solo mese di settembre, circa tre volte il numero di quanti hanno fatto lo stesso per il senatore John McCain".
"Sostegni", o "la grande orgia".
Colin Powell, uno dei peggiori criminali di guerra, con le mani sporche del sangue di milioni di persone innocenti, ha sostenuto Barack Obama, il quale, in cambio, ha favorito il criminale di guerra Powell: lunedì Obama ha detto alla NBC che Powell era il benvenuto nel fare campagna per lui e che potrebbe avere un posto nella sua amministrazione. Powell "avrà un ruolo come mio consigliere" e un posto formale nel governo è "qualcosa di cui dovremo discutere". Lo scambio in cui credere.
Tutti gli uomini del Presidente. Tra i padrini di Barrack Obama ci sono: Warren Buffett, l'uomo più ricco del mondo; George Soros, il Buon Samaritano multimiliardario legato al Council on Foreign Relations, l'International Crisis Group, Human Rights Watch, etc; il diabolico Zbigniew Brzezinski; e il famigerato magnate dei media Rupert Murdoch con il suo nefando impero. La lista potrebbe continuare a lungo.
Non c'è dubbio che si saranno dei vantaggi nell'avere un imperatore liberal. Alan Dershowitz spiega:
"La ragione è che penso sia meglio per Israele avere un sostenitore progressista nella Casa Bianca piuttosto che avere un sostenitore conservatore nell'Ufficio Ovale. Le posizioni di Obama su Israele avranno un maggiore impatto sui giovani, sull'Europa, sui media e su altri che tendono ad identificarsi con la prospettiva di sinistra. Sebbene io creda che la sinistra moderata [centrists liberal] tenda a sostenere Israele, riconosco che il sostengno dalla sinistra sembra indebolirsi, mentre il supporto dalla destra si rafforza. Viaggio tra i campus universitari sia negli Stati Uniti che all'estero, e vedo professori radicali che cercano di presentare Israele come il protetto della destra e un nemico della sinistra. In quanto sostenitore di sinistra di Israele, cerco di combattere questa falsa immagine. Nulla potrebbe aiutare di più in questo importante sforzo per puntellare il supporto progressista ad Israele che l'elezione di un presidente di questo schieramento che sostenga fortemente Israele e sia ammirato dai progressisti in tutto il mondo. E' tra le importanti ragioni per cui sostengo Barack Obama come presidente".
Ovviamente Dershowitz ha perfettamente ragione. Per non parlare del vice-Presidente Joseph "Sono un sionista" Biden, l'uomo in carica per l'implementazione di un vecchio sogno sionista, la frantumazione dell'Iraq, e uno dei massimi consiglieri per la politica estera di Obama, o di Madeleine Bloody Albright, moderna Erode che ha orgogliosamente rivendicato la responsabilità per il massacro di mezzo milione di innocenti neonati iracheni.
Gli imperi non eleggono presidenti, ma scelgono imperatori. L'Establishment dell'Impero ha preso uno sconosciuto politico e ne ha fatto una star per salvare se stesso e controllare le masse con lo show della Democrazia Americana. Ha ingaggiato un uomo di colore bello e fascinoso (sì! l'Establishment ha giocato la carta razziale. Ricordate? Se tutto deve rimanere com'è, è necessario che tutto cambi) per mascherare l'orripilante volte di un Impero sanguinario e spietato, i piani della classe dominante per ricostruire l'illusione di una civiltà rispettabile, la mitologia delle stelle e strisce, l'American way. I media - nelle mani di coloro che controllano il processo politico, la stessa gente che controlla l'economia e le nostre vite - hanno giocato magnificamente la partita e quello che è l'ennesima produzione hollywoodiana sta facendo il lavaggio del cervello ai quattro angoli del pianeta.
Uccidere le speranze. Un Politburo auto-compiaciuto con le sue pubblicazioni e i suoi think tank progressisti ben finanziati ha partecipato di nuovo a questo colossale lavoro di riverniciamento e propaganda. Il re è morto. Lunga vita al Re! Ma non sorprende. La Yugoslavia, l'Iraq e l'Afghanistan hanno mostrato il collasso morale ed intellettuale della sinistra occidentale, un fantasma che continua nella sua lunga mercia verso l'irrilevanza.
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Salvare i popoli, non le banche

Viviamo una crisi strutturale del sistema capitalista. Non è il momento di pensare al suo salvataggio, ma di lavorare alla sua trasformazione. I popoli latinoamericani si sono visti obbligati, più di una volta, a soccorrere i banchieri a prezzo di sofferenze proprie. E' ora di cambiare la storia e non ripetere il recupero dei finanzisti. La nostra priorità sono le necessità popolari.

La crisi economica che deriva da quella finanziaria e che è in corso in questi giorni può prolungarsi per molto tempo. Non è possibile stabilire, seriante, il tempo che essa si manterrà né la forma del suo sviluppo, ma quello che si può dire è che è la più grave e profonda dal 1929/30, e che si propaga a una velocità molto maggiore di quella perché possiede un carattere globale.

C'è inoltre da dire che la crisi economico-finanziaria attuale ha luogo all'interno di un contesto di molte altre crisi, come quella degli alimenti, delle materie prime, dell'energia, dell'ambiente e persino di una crisi militare in cui non si scarta l'uso di armi di distruzione di massa.

L'economia nordamericana, a motivo dei suoi tre debiti (privato, pubblico e con l'estero) si trova a rischio di forte instabilità. La sua egemonia economica è indebolita e messa in discussione. La sua egemonia geostrategica sopravvive, sebbene abbia subito significativi rovesci. Per le stesse ragioni, il momento attuale è particolarmente pericoloso per tutta l'umanità, dato che gli USA non rinunciano alla propria egemonia e al proprio dominio unipolare nei vari campi. Questa nazione cerca addirittura di mantenere la sua egemonia ideologica e culturale, che senza dubbio è stata danneggiata dalle contraddizioni che sorgono dalla stessa crisi, a livello interno e con i suoi alleati

A partire dalla crisi, si acutizzerà la contraddizione antagonistica con il capitalismo su scala globale. Si apre un lungo periodo di convulsioni i cui esiti sono aperti. Le classi domininanti cercheranno di ricostituire il sistema con maggiori livelli di sfruttamento dei lavoratori, che dovranno rafforzare le proprie organizzazioni per affontare questa aggressione. L'America Latina è stata il subcontinente che ha opposto maggior resistenza al neoliberismo, ed è stata scenario di grandi ribellioni popolari. L'esperienza sociale e politica accumulata in alcuni dei nostri paesi può marcare un cammino nell'articolazione di questa necessaria risposta.

I governi neoliberisti e social-liberisti della nostra regione, gli ancor chiamati "progressisti", manterranno la propria fede nella logica del capitale, e il loro intervento cercherà di preservare il funzionamento del mercato capitalista e il dominio delle imprese multinazionali che occupano i nostri territori. Permetteranno il fallimento di questa o quella grande impresa speculativa o produttiva, ma interverranno immediatamente a favore di quelle che possono porre a rischio la logica del capitale nell'ambito della loro nazione. Ciò significa che continueranno a permettere e a promuovere la voracità del profitto, richiesta dai menzionati capitali. La crisi di bilancio dello Stato si approfondirà riducendo l'investimento pubblico, la spesa sociale e i sussidi.

Queste politiche incrementanno ancor più la disoccupazione, la precarietà del lavoro, la riducione di salari e pensioni, col che aumenterà la povertà, la miseria e l'escusione sociale.

Tuttavia, vi sono in America Latina governi che, senza necessariamente proporsi una rottura completa con il sistema del capitale, cercano di trovare politiche capaci di gestire in maniera diversa le inevitabili conseguenze della crisi mondiale nelle loro nazioni.

In qualunque di queste circostanze i lavoratori e i movimenti sociali devono concquistare e preservare la propria indipendenza di fronte agli stati e lottare con decisione contro le politiche antipopolari che cercano di trasferire i costi della crisi dal capitale al lavoro, e dai paesi centrali a quelli periferici.

Per questo abbiamo bisogno di definire un percorso della politica economico-sociale all'interno di una strategia di sopravvivenza e resistenza dei settori popolari, in particolare dei lavoratori, per il difficile periodo che si avvicina, accompagnata da un'offensiva ideologica contro il sistema capitalista che mostra con questa crisi la sua assoluta incapacità di attendere alle necessità dei nostri popoli.

Proponiamo dunque questo insieme di misure di politica economica:

  1. E' urgente e indispensabile la custodia del sistema bancario privato, che, dipendendo da ogni paese, può attuarsi per controllo, intervento o nazionalizzazione senza indennizzo, secondo il principio di non statalizzare debiti privati né restituire questi attivi a mano private.
  2. Controllo e blocco dell'uscita dei capitali per evitare la loro fuga.
  3. Centralizzazione e controllo del cambio attraverso politiche di cambi multipli e differenziati.
  4. Moratoria e immediata verifica del debito pubblico, liberando risorse per far fronte a necessità sociali.
  5. Controllo dei prezzi dei prodotti di base.
  6. Mantenimento e recupero dei salari reali dei lavoratori, associato a una politica di imposizione progressiva che colpisca il capitale e soprattutto la speculazione.
  7. Politiche di protezione e incentivo al mercato interno e alle attività economiche ad alta generazione di impiego. A questo fine l'investimento pubblico gioca un ruolo fondamentale.
  8. Indennità di disoccupazione e politiche di protezione sociale dei lavoratori disoccupati e informali.
  9. Rinazionalizzazione delle imprese strategiche. Nazionalizzazione delle grandi imprese private in processo di fallimento. Recupero del controllo nazionale delle risorse naturali.
  10. Promozione di una integrazione regionale al servizio dei popoli e non del capitale.
Queste misure immediate costituiscono una risposta al dramma sociale che la crisi impone, e daranno il via a trasformazioni che, per attuarsi con pienezza, richiedono che si avanzi verso un orizzonte socialista.

Salvare i popoli, non le banche, è questo l'obiettivo della Società latinoamericana di Economia Politica e Pensiero Critico di fronte alla crisi e alle sue conseguenze sociali.

Buenos Aires, 23 ottobre 2008
Giunta Direttiva della SEPLA

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Veltroni day, a Roma due milioni di persone socialmente pericolose

Lo diciamo subito con amarezza ma anche con chiarezza: la manifestazione di due milioni di persone a Roma, in piazza con il PD, è un giorno molto amaro per la democrazia italiana. Non ci mettiamo a speculare sulle cifre dei partecipanti che ad un riscontro oggettivo, nel calcolo tra dimensioni della piazza e spazio occupato dai manifestanti, dovrebbero essere più basse di quelle lanciate sulle agenzie. Assumiamo invece come reale il dato simbolico di due milioni di persone ieri a Roma con Veltroni.

Questa manifestazione assume quindi il carattere di una spettacolare affermazione di consenso, prodotto in nome della democrazia, ad un leader e a una rete di mandarini che non solo operano in spregio a qualsiasi elementare regola di democrazia, persino nella vita del suo stesso partito, ma che credono fermamente in un ultraliberismo contro il quale la stessa gente di ieri è scesa in piazza. Questo fenomeno, manifestare per un obiettivo dando consenso ad una leadership che pratica l'opposto, non è certo nuovo e fa parte del modo in cui i gruppi dirigenti si legittimano nelle società contemporanee per poter garantire i propri interessi particolari. Risulta però tanto più sconcertante che una classe dirigente come quella del PD carica di sconfitte, di legami clientelari di ogni genere (dalle grandi banche ai peggiori potentati diffusi sul territorio), che ha una tradizione di svendita del patrimonio del paese venga rilegittimata e rimessa in campo da una fiumana di persone bisognose del freddo rito del simulacro della partecipazione democratica. Perchè il problema sociale e politico è questo: la presenza permanente nella società italiana di un fenomemo parareligioso di strati di popolazione desiderosi di freddi riti di massa operati in nome di parole d'ordine di assoggettamento come "legalità", "moralità", "responsabilità", "farsi carico di sacrifici". Questo fenomeno parareligioso, bisogna dirlo, è socialmente pericoloso e proprio per questo va neutralizzato e disgregato. E' parte attiva di quel consenso alle peggiori politiche di questi anni, quelle che hanno permesso al centrosinistra di anticipare o completare le politiche di centrodestra: privatizzazioni, precarizzazione del lavoro, impoverimento delle strutture scolastiche e scientifiche, verticalizzazione della ricchezza.

Intendiamoci, Veltroni è un operoso ed efficace impiegato della tecnica del rovesciamento orwelliano della realtà adattata necessariamente alla subcultura cattolica per il contesto italiano. Ieri sulla scuola è riuscito persino a far capire che la riforma Gelmini si può fare magari solo differendola nel tempo. E' apparso un difensore della scuola. Ha fatto proposte economiche che oltre ad essere neoliberiste, mentre parla ad una platea in piazza perchè falcidiata dal neoliberismo, sono provinciali e superate persino negli Stati Uniti. E' apparso come un coraggioso innovatore mentre al massimo darà più soldi alle imprese che, come ammesso dallo stesso Greenspan, finiscono per alimentare tutto fuorchè l'economia.

Ma il problema vero è la fonte del consenso di questi funzionari del depistaggio: queste adunate di corpi addomesticati, desiderosi di liturgie fredde, con schemi limitati di lettura del reale e in cerca di adesione a un simbolo di comando. Le intenzioni non contano: questa è la seconda fonte di consenso alla destra italiana nello specifico alla sua componente chiamata PD. Le differenze con la destra berlusconiana ci sono: quella legata al cavaliere si nutre identitariamente dei prodotti della tv commerciale. Il consenso alla destra chiamata PD si sviluppa nel senso del masochismo, prodotto della subcultura cattolica, per cui le masse provano piacere solo nel sacrificarsi in nome di obiettivi trascendenti.
E non a caso Repubblica, l'agenzia che ha in appalto la costruzione del consenso per il PD, si è accanita in questi giorni a provare a rompere la catena di trasmissione del sapere generazionale tra questa generazione di studenti e il '68. Il motivo è semplice, con il sapere del '68 le tecniche del rovesciamento orwelliano della realtà vengono smascherate e problema di questi fenomeni parareligiosi di consenso a politiche liberiste emerge collettivamente nella sua chiarezza. Il PD teme che prima o poi la realtà si manifesti. Sarebbe un colpo letale, in effetti.

Un paese di sessanta milioni di persone può tollerare, magari con quel senso di pietà e rispetto dovuto alle
manifestazioni di credulità popolare, l'esistenza due milioni di persone socialmente pericolose. Ma non può tollerare che i virus dell'assoggettamento, dell'immiserimento che questi due milioni di persone naturalmente portano con sè possano espandersi provocando ulteriori danni a questo sinistrato paese.
per Senza Soste, Kenny Dalglish
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A riconoscimento del buon lavoro svolto da Veltroni, il quotidiano della Fiat gioisce. Finalmente scomparse le bandiere rosse dalle manifestazioni dell'opposizione, recita La Stampa.
Ci attendiamo a questo punto lunghe processioni a Mirafiori "in adorazione di un profitto industriale che Berlusconi non sa apprezzare".
Salva l'Italia, spegni Veltroni.
la stampa

Indignazione e socialismo: la sinistra di fronte alla crisi

Indignazione. Questo è il sentimento, questa è la parola di cui abbiamo bisogno. La stessa che veniva cantata durante la lunga marcia della rivoluzione cinese.
Ci hanno assordato per anni sull'inutilità e sui danni dell'intervento pubblico. La vicenda Alitalia è stata affrontata, con spirito bipartisan, negando la possibilità e l'utilità stessa di un intervento dello Stato per salvarla. Ora, in tutto l'Occidente si spendono, anzi si buttano via, cifre colossali per sostenere con i soldi dei cittadini banche e banchieri. Nasce il socialismo dei ricchi.
A Bruxelles l'industria italiana e quella tedesca chiedono di poter inquinare senza limiti, perché c'è la crisi. In Italia la Confindustria, con la gioiosa complicità di Cisl e Uil, ripropone la sua idea di centralità del lavoro: per andare avanti bisogna ridurre il salario e la contrattazione e accrescere la precarietà e l'orario di lavoro. In fondo, non c'è da stupirsi. Coloro che oggi sfacciatamente eseguono la più trasformista delle giravolte, scoprendo lo stato, le regole, la condanna delle speculazioni e delle cattive intenzioni dei manager, sono gli stessi che ci hanno portato fino a qui. Politici, economisti, imprenditori, giornalisti e intellettuali, tutti appartenenti allo stesso campo del pensiero unico liberista e tutte e tutti ancora lì, nei giornali o in televisione, a sentenziare come sempre.
Come dimostra quel sensibile termometro della realtà degli affari che è la Borsa, la crisi che abbiamo di fronte è strutturale e non sarà certo di facile soluzione. E' inutile disquisire se essa è la crisi estrema del sistema capitalistico o solo quella di una sua fase. La sostanza è che un intero percorso del sistema economico mondiale si è interrotto, e chi governa l'economia e la politica è oggi incapace di farlo riprendere. I paragoni normalmente sono con le due più gravi crisi economiche del secolo scorso. Quella del '29 e quella iniziata negli anni Settanta. In realtà esse furono molto diverse. Quella del '29 veniva al culmine di un'intensa fase di sviluppo capitalistico che si era affermata in Occidente dopo la sconfitta del movimento operaio, che in tutti i paesi industrialmente più avanzati aveva portato la radicalità della rivoluzione russa. Quella degli anni Settanta invece nasceva proprio come risposta all'offensiva dei lavoratori occidentali, dei popoli e dei paesi del terzo mondo, che non accettavano più la quota di ricchezza e di potere che il capitalismo ad essi assegnava. Il liberismo che si affermava progressivamente in tutto il mondo occidentale e poi dilagava ovunque dopo il crollo dell'Urss, era la risposta delle classi dominanti a un'offensiva sociale mondiale. Il capitalismo si liberava dei lacci e lacciuoli che lo vincolavano ai diritti del lavoro e allo stato sociale e da qui rilanciava lo sviluppo. La crisi del '29 invece avveniva ben dopo che gli operai, i movimenti rivoluzionari, erano stati sconfitti. Essa giungeva al culmine di una crescita economica edificata sulle macerie della disfatta operaia. La crisi attuale somiglia pertanto molto di più a quella del '29 che a quella degli anni Settanta. Essa conclude un ciclo iniziato con le presidenze Reagan e Thatcher, con la sconfitta operaia alla Fiat, con l'attacco sistematico ai diritti e ai contratti delle classi operaie occidentali, con il dilagare di quel sistema di super sfruttamento mondiale del lavoro che è stato chiamato globalizzazione.
Il fatto che ci siano voluti trent'anni per la crisi, quando al crollo del '29 si arrivò dopo meno di un decennio di capitalismo selvaggio trionfante, dimostra la solidità e la forza dello sviluppo liberista, alimentate dall'egemonia totale conquistata dall'ideologia del mercato nella politica e nella cultura. Ma anche se ben più solido di quello degli anni Venti, è comunque un intero modello di sviluppo che si sta esaurendo. Per questo tutte le misure finora prese, al di là delle ridicole affermazioni tranquillizzanti dei governanti e di un'informazione in gran parte asservita, hanno la stessa crescente inefficacia. I soldi pubblici che si spendono, le deroghe ambientali, le deroghe contrattuali, le emergenze autoritarie, la xenofobia, l'intolleranza, hanno tutte lo stesso segno. Sono il tentativo disperato di continuare a perpetuare un sistema che è arrivato al suo limite. Si cerca di sostenere la ricchezza accumulata in questi anni con l'ennesima versione della politica dei due tempi, spiegando che se quella ricchezza si salverà, qualcosa toccherà anche a chi non la possiede. Ma proprio qui sta la contraddizione di fondo. Lo scandalo per la leggerezza con cui le banche americane hanno distribuito prestiti è stupido ed ipocrita. In un regime di bassi salari, di riduzione dei diritti e di precarietà del lavoro, l'unico modo per far acquistare l'enorme quantità di merci prodotte dal sistema mondiale, è quello di permettere ai poveri di indebitarsi per comprarle. Si è tentato di trasformare lavoratori, pensionati, disoccupati, in piccoli redditieri a debito, per evitare il crollo della produzione, per impedire quella che Marx avrebbe giustamente chiamato la crisi di sovraproduzione. Oggi è questo meccanismo che va in collasso e tutti i tentativi di restaurarlo non solo non portano a risultati, ma finiscono per sottolineare ancor di più la gravità della situazione. E' falso il presupposto che ci sia una crisi finanziaria che si sta trasferendo nell'economia reale. E' vero l'esatto contrario, e cioè che l'esplosione della bolla finanziaria mondiale nasce da un'economia reale malata, malata di bassi salari, supersfruttamento del lavoro e dell'ambiente, distruzione di risorse e culture pubbliche per favorire il privato. E' questa economia reale malata che ha cercato di sopravvivere gonfiando la bolla speculativa e usandola come una sorta di ammortizzatore sociale mondiale. Ora il crollo della finanza mostra non la salute, ma la malattia profonda del sistema produttivo mondiale.
E' per questo che serve una critica di sistema. Forse serve allo stesso capitalismo, che senza di essa è naturalmente portato all'autodistruzione narcisistica. Oggi molti sostengono che occorra un nuovo compromesso tra stato e mercato, tra politica ed economia, tra capitale e lavoro. Si dimentica però che il compromesso keynesiano travolto dalla reazione degli anni Settanta, non è nato da un progetto costruito a tavolino, né in America, né in Europa, né nel resto del mondo. Esso fu la risultante di lotte e conflitti sociali durissimi, della guerra, della distruzione del fascismo, dei successi, pur tra enormi contraddizioni, del movimento comunista mondiale. Il balbettare attuale delle sinistre di governo, che restano tali anche quando sono all'opposizione, la loro subalternità alle ricette della destra, peraltro anch'esse confuse e inefficaci, è la dimostrazione che non è più tempo di riformismo, ma urge la ricostruzione di un pensiero e di un punto di vista alternativo a quello su cui si fonda il capitalismo. Di fronte al socialismo dei ricchi bisogna prima di tutto ridare legittimità e forza al pensiero e alle rivendicazioni concrete del socialismo dei lavoratori e dei popoli. Anche a questo serve l'indignazione. Con che faccia potranno ancora dirci, quando attaccheranno le pensioni pubbliche, che lo stato non può intervenire e che dobbiamo impegnare le nostre liquidazioni nei fondi pensione privati? Con che faccia ci spiegheranno che sono inevitabili i licenziamenti, la precarietà, il taglio dei salari, i sacrifici, dopo che tutti i conti che ci vengono presentati sono frutto del costo di trent'anni di capitalismo sfrenato e rapace? Con che faccia potranno dirci che la scuola pubblica è inefficiente e che l'istruzione deve diventare ancella dell'impresa, quando è proprio la cultura manageriale che ha governato il mondo a mostrare tutti i suoi limiti di comprensione della realtà e anche di moralità?
Con che faccia potremmo ancora accettare che ci si dica che siamo tutti nella stessa barca? Solo con quella della rassegnazione, solo con la rinuncia a pensare e a lottare. Le riforme e i compromessi verranno, ma solo travolgendo i rapporti di forza, le culture e le classi dirigenti che hanno portato all'attuale disastro.
Quando nel 1989 crollò il muro di Berlino e con esso tutto il sistema sovietico, marcio nelle fondamenta per il dominio sfacciato della burocrazia, Norberto Bobbio lanciò un avviso al capitalismo trionfante. E' vero che la lunga marcia del movimento operaio si era interrotta ma, sottolineava Bobbio, se il capitalismo si fosse fatto di nuovo prendere dalla frenesia di sé stesso, se non fosse stato in grado di limitarsi e criticarsi, la lunga marcia sarebbe ripresa. E' quello che deve accadere.
Liberazione 1

2

domenica 26 ottobre 2008

elenco delle vittime palestinesi dell'esercito israeliano

elenco delle vittime palestinesi dell'esercito israeliano:
fonte

notare la ripetitività della formula:
"Did not participate in hostilities when killed.", che è sempre più frequente man mano che l'età della vittima scende
in un pianeta normale significa che ogni morto con quella formula è una vittima innocente e chi l'ha ucciso ha compiuto un crimine di guerra;
nel mondo dei sedicenti sionisti che pensano che sostenere Israele venga prima di ogni altra cosa, non significa nulla, perchè tutte le vittime sono terroristi armati di tutto punto e pronti a distruggere Israele, anche se hanno 8 anni.

un grande israeliano rigetta il sionismo

commovente intervista di un uomo che ha capito che prima si è uomini, e poi ebrei, o cristiani, o atei, o italiani, o israeliani, e quindi prima viene la difesa dell'umanità e dopo quella delle caratteristiche accidentali che ci troviamo ad avere. Come diceva Montesquieu:

se conoscessi qualcosa che mi fosse utile ma che fosse dannoso per la mia famiglia lo scaccerei dal mio spirito; se sapessi qualcosa di utile per la mia famiglia ma non per la patria lo dimenticherei; se sapessi qualcosa di utile per la mia patria ma dannoso per l'Europa o che fosse utile all'Europa ma dannoso per il genere umano, lo considerei come un crimine, perchè sono uomo per necessità, mentre non sono francese che per accidente

Leaving the Zionist ghetto
By Ari Shavit

Avrum Burg, I read your new book, "Defeating Hitler," as a parting from Zionism. Am I wrong? Are you still a Zionist?
"I am a human being, I am a Jew and I am an Israeli. Zionism was an instrument to move me from the Jewish state of being to the Israeli state of being. I think it was Ben-Gurion who said that the Zionist movement was the scaffolding to build the home, and that after the state's establishment it should be dismantled."

Does this mean that you no longer find the notion of a Jewish state acceptable?
"It can't work anymore. To define the State of Israel as a Jewish state is the key to its end. A Jewish state is explosive. It's dynamite."

And a Jewish-democratic state?
"People find this very comfortable. It's lovely. It's schmaltzy. It's nostalgic. It's retro. It gives a sense of fullness. But 'Jewish-democratic' is nitroglycerine."

Do we have to amend the Law of Return?
"We have to open the discussion. The Law of Return is an apologetic law. It is the mirror image of Hitler. I don't want Hitler to define my identity."

Your book is anti-Israeli, in the deepest sense. It is a book from which loathing of Israeliness emanates.
"When I was a boy I was a Jew. In the language prevalent here: a Jew-boy. I attended a heder [religious school]. I was taught by former yeshiva students. After that, for most of my life I was an Israeli. Language, signs, smells, tastes, places. Everything. Today that is not enough for me. In my situation today, I am beyond Israeli. Of the three identities that form me - human, Jewish and Israeli - I feel that the Israeli element deprives the other two."

We are one of the most threatened countries in the world.
"The true Israeli rift today is between those who believe and those who are afraid. The great victory of the Israeli right in the struggle for the Israeli political soul lies in the way it has imbued it almost totally with absolute paranoia. I accept that there are difficulties. But are they absolute? Is every enemy Auschwitz? Is Hamas a scourge?"

Ahmadinejad is saying that our days are numbered. He is the real world - a world you ignore.
"I say that as of this moment, Israel is a state of trauma in nearly every one of its dimensions.

Is there sufficient basis for the Israel-Germany analogy?
"It is not an exact science, but I will describe to you some of the elements that go into the stew: a great sense of national insult; a feeling that the world has rejected us; unexplained losses in wars. And, as a result, the centrality of militarism in our identity. The place of reserve officers in society. The number of armed Israelis in the streets. Where is this swarm of armed people going? The expressions hurled publicly: 'Arabs out.'"

OK, we will leave Nazism. Are you concerned about a fascist debacle in Israel?
"I think it is already here."

Do you really believe that the racist slogans which, appallingly, do indeed appear on the stone walks in Jerusalem are akin to the slogans of the 1930s in Germany?
"I see that we are not weeding out those utterances with all our might. And I hear voices coming out of Sderot .... We will destroy and kill and expel. And there is a transferist discourse in the government .... We have crossed so many red lines in the past few years. And then you ask yourself what the next red lines that we cross will be."

In the book you both ask and answer. "I feel very strongly," you write, "that there is a very good chance that a future Knesset in Israel ... will prohibit sexual relations with Arabs, use administrative means to prevent Arabs from employing Jewish cleaning ladies and workers ... like the Nuremberg Laws ... All this will happen, and is already happening." Didn't you get carried away, Avrum?
"When I was Speaker of the Knesset, I heard people talking. I conducted in-depth conversations with members from all parts of the House. I heard people of peace say -I want peace because I hate Arabs and can't stand to look at them and can't tolerate them, - and I heard people on the right use Kahanist language. Kahanism [referring to the ultranational doctrine of Rabbi Meir Kahane] is in the Knesset. It was disqualified as a party, but it constitutes 10 and maybe 15 and maybe even 20 percent of the Jewish discourse in the Knesset. These matters are far from simple. These are roiling waters."

You describe Israel as a Prussian Sparta living by the sword, and that is not the Israel I see outside. Certainly not in 2007.
"Look at the fence. The separation fence is a fence against paranoia. And it was born in my milieu. In my school of thought. With my own Haim Ramon. What is the thinking here? That I will erect a big wall and the problem will be solved because I will not see them. You know, the Labor movement always saw the historical context and represented a culture of dialogue, but here we have terrible pettiness of soul. The fence physically demarcates the end of Europe. It says that this is where Europe ends. It says that you are the forward post of Europe and the fence separates you from the barbarians. Like the Roman Wall. Like the Wall of China. But that is so pathetic. And it is a bill of divorce from the vision of integration. There is something so xenophobic about it. So insane. And it comes just at a time when Europe itself, and the world with it, has made such an impressive advance in internalizing the lessons of the Holocaust and has fomented a great advance in the normative behavior of nations."

"Is there a well-grounded romanticism? Is your Israeli romanticism grounded?"
"We do not want to accept this, but the existence of the Diaspora dates from the beginnings of our history. Abraham discovers God outside the borders of the Land. Jacob leads tribes to outside the borders. The tribes become a people outside the borders. The Torah is given outside the borders. As Israelis and Zionists, we ignored this completely. We rejected the Diaspora. But I maintain that just as there was something astonishing about German Jewry, in America, too, they also created the potential for something astonishing. They created a situation in which the goy can be my father and my mother and my son and my partner. The goy there is not hostile but embracing. And as a result, what emerges is a Jewish experience of integration, not separation. Not segregation. I find those things lacking here. Here the goy is what he was in the ghetto: confrontational and hostile."

Emotionally, you are with German Jewry and American Jewry. They excite you, thrill you, and by comparison you find the Zionist option crude and spiritually meager. It broadens neither the heart nor the soul.
"Yes, yes. The Israeli reality is not exciting. People are not willing to admit it, but Israel has reached the wall. Ask your friends if they are certain their children will live here. How many will say yes? At most 50 percent. In other words, the Israeli elite has already parted with this place. And without an elite there is no nation."

You are saying that we are suffocating here for lack of spirit.
"Totally. We are already dead. We haven't received the news yet, but we are dead. It doesn't work anymore. It doesn't work."

And you see in American Jewry the spiritual dimension and the cultural ferment that you don't find here.
"Certainly. There is no important Jewish writing in Israel. There is important Jewish writing in the United States. There is no one to talk to here. The religious community of which I was a part - I feel no sense of belonging to it. The secular community - I am not part of it, either. I have no one to talk to. I am sitting with you and you don't understand me, either. You are stuck at a chauvinist national extremity."

You are actually preparing tools for exile.
"I have been living with them from the day I was born. What is it when I say in prayer that because of our sins we were exiled from our land? In Jewish history the spiritual existence is eternal and the political existence is temporary."

Because the energy needed to establish and maintain this place is tremendous, and you are saying that we must not give our all to this place.
"There is no Israeli whole. There is a Jewish whole. The Israeli is a half-Jew. Judaism always prepared alternatives. The strategic mistake of Zionism was to annul the alternatives. It built an enterprise here whose most important sections are an illusion. Do you really think that some sort of floating secular Tel Aviv-type post-kibbutz entity will [continue to] exist here? Never. Israeliness has only body; it doesn't have soul. At most, remnants of soul. You are already dead spiritually, Ari. You have only an Israeli body. If you go on like this, you will no longer be."

You were an Israeli. You were more Israeli than I was. But no more.
"Accordingly, I am going to the world and to Judaism. Because the Jew is the first postmodernist, the Jew is the first globalist."

You have taken a French passport, and as a French citizen you voted in the French presidential elections.
"I have already declared: I am a citizen of the world. This is my hierarchy of identities: citizen of the world, afterward Jew and only after that Israeli. I feel a weighty responsibility for the peace of the world. And Sarkozy is in my eyes a threat to world peace. That is why I went to vote against him."

Are you French?
"In many senses I am European. And from my point of view, Israel is part of Europe."

Do you recommend that every Israeli take out a foreign passport?
"Whoever can."

You are playing with your multiple passports and your multiple identities, which is a course not available to many others. You are dismantling something very basic.
"Those are your fears, Ari. I suggest that you not be afraid. That is what I say in the book. I propose that we stop being afraid."

You describe the occupation as an Israeli Anschluss. An Israeli Anschluss?

"That is what we are doing there. What do you want me to say about what we are doing there? That it's humanism? The Red Cross?"

And the targeted assassinations are murder?
"Some of them, certainly."

We are being dragged into carrying out war crimes?
"I have no other way to see it. Especially if there is no horizon of dialogue. The Israelis are very calm. One more Arab, one less Arab. Ya'allah, it's alright. But in the end, the pile grows high. The number of innocent people is so large that it can no longer be contained. And then our explosion and their explosion and the world's will be infinite. I see it happening before my eyes. I see the pile of Palestinian bodies crossing the wall we erected so as not to see it."

And you are not only Leibowitz. You are also Gandhi. You say that the right reaction to the Holocaust was not Anielewicz [commander of the Warsaw Ghetto Uprising] but Gandhi.
"I believe in the doctrine of nonviolence. I do not think that to believe in nonviolence is to be a patsy. In my eyes, Gandhi is as Jewish as there is. He embodies a very ancient Jewish approach. Like Yochanan ben Zakkai, who asked for Yavneh and its sages. Not Jerusalem, not the Temple, not sovereignty: Yavneh and its sages."

And your Gandhiist approach has a political expression: You believe Israel should be relieved of nuclear weapons.
"Of course, of course. The day the Bomb is dismantled will be the most important day in Israel's history. It will be the day on which we get such a good deal with the other side that we will no longer need the Bomb. That has to be our ambition."
fonte1
fonte2

ovviamente gli zeloti sionisti sono insorti e vogliono sbatterlo fuori dal cimitero di Gerusalemme, più o meno come Stalin faceva con Trotzky facendone cancellare la faccia dalle fotografie.
fonte3

questo e altro nell'unica democrazia del Medio Oriente.

angolo dell'umorismo

la guerra alla razionalità, ovvero perchè non è vero che i figli nascono col sesso:
http://img204.imageshack.us/img204/3841/thismodernworldlanguageisaviru.jpg

l'antisionismo non è antisemitismo

una bella rassegna di articoli dedicati al presidente Napolitano, nei secoli fedele al suo partito di sempre, che è quello dei rinnegati, che illustrano la totale differenza tra antisemitismo e antisionismo, la cui assimilazione è da sempre la cifra dei briganti che sulle terre degli arabi vogliono mettere le mani:
fonte

da uno degli articoli ricordo un fatto storico, ovvero la collaborazione tra sionismo e nazismo, inevitabile per ideologie politiche razziste che perseguivano lo stesso scopo:

"Per quanto ciò possa apparire incredibile, la collaborazione dei sionisti con i fascisti, i nazisti e gli antisemiti, storicamente documentata, si fondava su una logica di scambio criminale a danno degli ebrei. I sionisti hanno appoggiato i regimi fascisti e antisemiti prima e durante la seconda guerra mondiale, chiedendo in cambio di permettere loro di portare gli ebrei in Palestina per realizzare il loro progetto coloniale. Gli ebrei che non accettavano di emigrare in Palestina sono stati abbandonati al loro destino. Gli antisemiti erano ben contenti di liberarsi degli ebrei in questo modo. Non è vero che gli antisemiti sono antisionisti come lei sostiene ma è vero proprio il contrario. Non metterà in dubbio, spero, le parole dello scrittore israeliano Yehoshua che qualche anno fa ha dichiarato: “I gentili hanno sempre incoraggiato il sionismo, sperando che li avrebbe aiutati a liberarsi degli ebrei che vivevano tra di loro. Anche oggi, in una maniera perversa, un vero antisemita deve essere un sionista”. [1]
Lo scrittore israeliano dimentica però di dire che anche i sionisti, in maniera perversa, hanno incoraggiato gli antisemiti affinché allontanassero gli ebrei dai loro paesi e li consegnassero agli attivisti sionisti pronti a portarli nelle colonie in Palestina. Un vero sionista è un amico degli antisemiti.
Questo aspetto vergognoso della storia del sionismo inizia con il suo stesso fondatore, Theodor Herzl. Nell’agosto del 1903, Herzl si recò nella Russia zarista per una serie di incontri con il Conte von Plehve, ministro antisemita dello Zar Nicola II e Witte, ministro delle finanze. Gli incontri avvennero meno di 4 mesi dopo l’orrendo pogrom di Kishinev, di cui era direttamente responsabile von Plehve. Herzl propose un’alleanza, basata sul comune desiderio di far uscire la maggior parte degli ebrei russi dalla Russia e, a più breve termine, allontanare gli ebrei russi dal movimento socialista e comunista. All’inizio del primo incontro (8 agosto) von Plehve dichiarò che egli si considerava “un ardente sostenitore del sionismo”. Quando Herzl cominciò a descrivere lo scopo del sionismo, il Conte lo interruppe affermando: “Predicate a un convertito”.
In un successivo incontro con Witte, il fondatore del sionismo si sentì dichiarare apertamente: “Avevo l’abitudine di dire al povero imperatore Alessandro III: se fosse possibile annegare nel mar Nero sei o sette milioni di ebrei, io ne sarei perfettamente soddisfatto; ma non è possibile; allora dobbiamo lasciarli vivere”. E quando Herzl disse di sperare in qualche incoraggiamento dal governo russo, Witte rispose: “Ma noi diamo agli ebrei degli incoraggiamenti ad emigrare, per esempio dei calci nel sedere”.[2]
Il risultato degli incontri fu la promessa di von Plehve e del governo russo di
“un appoggio morale e materiale al sionismo nel giorno in cui alcune delle sue azioni pratiche sarebbero servite a diminuire la popolazione ebraica in Russia”. [3]
“Se noi [sionisti] – diceva Jacob Klatzkin - non ammettiamo che gli altri abbiano il diritto di essere anti-semiti, allora noi neghiamo a noi stessi il diritto di essere nazionalisti. Se il nostro popolo merita e desidera vivere la propria vita nazionale, è naturale che si senta un corpo alieno costretto a stare nelle nazioni tra le quali vive, un corpo alieno che insiste ad avere una propria distinta identità e che perciò è costretto a ridurre la sfera della propria esistenza. É giusto, quindi, che essi [gli anti-semiti] lottino contro di noi per la loro integrità nazionale. Invece di costruire organizzazioni per difendere gli ebrei dagli anti-semiti, i quali vogliono ridurre i nostri diritti, noi dobbiamo costruire organizzazioni per difendere gli ebrei dai nostri amici che desiderano difendere i nostri diritti”.[4]
Queste parole, e l’atteggiamento conseguente dei sionisti, hanno certo dato argomenti preziosi ai nazisti che sostenevano appunto che gli ebrei erano una nazione estranea nella loro nazione.
“Per i sionisti, affermava senza vergogna Harry Sacher, un sionista inglese - il nemico è il liberalismo; esso è anche il nemico per il nazismo; ergo, il sionismo dovrebbe avere molta simpatia e comprensione per il nazismo, di cui l'anti-semitismo è probabilmente un aspetto passeggero”.[5]
Non è solo cecità politica, è collaborazione criminale col nemico degli ebrei. E Lei, Presidente, vuole chiudere gli occhi su questo aspetto della storia del sionismo? Le ricordo poi che i nazisti rispondevano molto positivamente alle offerte dei sionisti come dimostra questo brano di una loro circolare:
“I membri delle organizzazioni sioniste non devono essere, date le loro attività dirette verso l'emigrazione in Palestina, trattati con lo stesso rigore che invece è necessario nei confronti dei membri delle organizzazioni ebraico-tedesche (cioè gli assimilazionisti)”.[6]
E Reinhardt Heyndrich, capo dei Servizi Segreti delle SS dichiarava:
“Il momento non può più essere lontano ormai in cui la Palestina sarà in grado di nuovo di accogliere i suoi figli che aveva perduto da oltre mille anni. I nostri buoni auguri e la nostra benevolenza ufficiale li accompagnino”.[7]
La colonizzazione della Palestina era ben vista dai nazisti. Tra colonialisti ci si intende. Questo per ricordarLe che i nazisti, con l’aiuto consapevole dei sionisti, hanno colpito solo quegli ebrei che intendevano vivere nei paesi in cui erano nati e non volevano rendersi responsabili dell’occupazione della Palestina e della conseguente e inevitabile cacciata dei palestinesi. Queste vittime ebraiche non erano sioniste, erano semmai assimilazionisti o antisionisti. Dopo l’Olocausto, l’Occidente non ha fatto altro che premiare i sionisti consegnando loro la terra dei palestinesi e facendo pagare a chi non aveva nessuna colpa, il caro prezzo dello sterminio degli ebrei avvenuto per diretta responsabilità di alcuni paesi europei e per l’ignavia di altri nonché per il folle piano sionista. La collaborazione tra sionisti e nazisti é stata possibile anche, al di là dell’aspetto pratico della comune volontà di portare gli ebrei in Palestina, perché l’ideologia sionista e quella nazista avevano un punto in comune, come riconosce l’ebreo sionista Prinz:
“Uno Stato costruito sul principio della purezza della nazione e della razza (cioè la Germania nazista) può solo avere rispetto per quegli ebrei che vedono se stessi allo stesso modo”.[8]
Lo stesso personaggio si rendeva conto della situazione paradossale che si veniva a creare, e ammetteva:
“Per i sionisti era molto disagevole operare. Era moralmente imbarazzante sembrare essere considerati i figli prediletti del governo nazista, in particolare proprio nel momento in cui esso scioglieva i gruppi giovanili (ebraici) antisionisti, e sembrava preferire per altre vie i sionisti. I nazisti chiedevano un «comportamento più coerentemente sionista»”.[9]
E tuttavia la collaborazione andò avanti. Fu una collaborazione multiforme che ricostruisco nel mio saggio “La natura del sionismo”[10]. Le voglio ricordare, per finire, l’invito di Dov Joseph, caporione dell’Agenzia Ebraica, che sul finire del 1944, quando gli ebrei morivano a centinaia di migliaia nei lager, parlando a giornalisti sionisti in Palestina preoccupati delle notizie dei massacri, li mise in guardia contro:
“la pubblicazione di dati che esagerano il numero delle vittime ebraiche, perché se noi annunciamo che milioni di ebrei sono stati massacrati dai nazisti, poi ci chiederanno, a ragione, dove sono i milioni di ebrei per i quali noi rivendichiamo una patria quando la guerra sarà finita”. [11]
Questo può bastare, ma ho l’ardire signor Presidente di consigliarLe di approfondire l’argomento.
La storia del sionismo è una storia criminale, non è sorprendente quindi che i sionisti e lo Stato sionista continuino a trattare così barbaramente i palestinesi. Ma la mia preoccupazione va al di là della tristissima situazione del popolo palestinese che tutti sembrano dimenticare.
Oggi con la sua dichiarazione inaccettabile accusa gli antisionisti, e molti sono ebrei, che si battono per uno Stato democratico in Palestina mettendoli nello stesso immondezzaio degli antisemiti.
Manno Mauro

[1] Jewish Chronicle, 22 gennaio 1982.
[2] Maxime Rodinson, Peuple juif ou problème juif? Parigi, Petite collection Maspero, 1981, pp. 174-75.
[3] Maxime Rodinson, Peuple juif ou problème juif? cit. p. 174.
[4] Jacob Klatzkin, (1925), citato in Jacob Agus, The Meaning of Jewish History, in Encyclopedia Judaica, vol II, p. 425.
[5] Harry Sacher, Jewish Review, settembre 1932, p. 104, Londra.
[6] Circolare della Gestapo bavarese indirizzata al corpo di polizia bavarese, 23 gennaio, 1935, pubblicata in Kurt Grossman, Zionists and Non-Zionists under Nazi Rule in the 1930's, Herzl Yearbook, vol VI, p. 340.
[7] Reinhardt Heyndrich, capo dei Servizi Segreti delle SS, The Visible Enemy, articolo pubblicato in Das Schwarze Korps, organo ufficiale delle SS, maggio 1935.
[8] Joachim Prinz, (1936), citato in Benyamin Matuvo, The Zionist Wish and the Nazi Deed, Issues, (1966/67), p. 12.
[9] Joachim Prinz, Zionism under the Nazi Government, in Young Zionist, Londra, novembre 1937, p. 18.
[10] La natura del sionismo, supplemento al numero 56, novembre 2006, di Aginform.
[11] Yoav Gelber, Zionist Policy and the Fate of European Jewry, p. 195.

i becchini di indymedia

PRIMA LETTERA AI BECCHINI DI INDYMEDIA
che cincischiano da 2 mesi su come andrebbe fatta la nuova indy ovviamente solo DOPO averla chiusa:

Dove potete andare? Di questo passo, da nessuna parte, come a chi non è stupido era chiaro fin dal principio. Ecco quello che state (non) facendo:
1) infiniti pipponi su cosa è indy, cosa dovrebbe essere, chi siamo, dove stiamo andando....nel migliore stile delle discussioni sul futuro del PCI degli anni '80...sappiamo tutti che fine hanno fatto: PCI-PDS-DS-PD che finirà nel partito popolare europeo. Morirete tutti democristiani, fatevene una ragione una volta x tutte almeno sarete a posto con la coscienza....
2) pipponi sul metodo del consenso e sulla facilitazione, che nella realtà non sono mai esistiti...
3) proposta di indy di volta in volta simile (però diversa, perchè comunque noi siamo migliori) a youtube, a wikinews, a boh...purchè non sia quello che era fino alla chiusura. Peccato che nessuno ha chiesto niente alle centinaia di migliaia di utenti del sito, che non sono stati consultati, giusto per sapere cosa ne pensassero...alla faccia della libera partecipazione....un sondaggio di una settimana tra gli utenti del sito era chiedere troppo? E voi pretendereste che i futuri utenti di indy2 siano + responsabili? Ma ringraziate se non vi arriva un diluvio di sputi quando riaprirete..

alla prima risposta che mi accusava di voler scatenare un flame è seguita la

SECONDA LETTERA AI BECCHINI DI INDYMEDIA

hai poco da fare lo spiritoso...quando un centinaio di persone (a voler essere larghi) si arroga il potere di chiudere uno strumento usato da milioni di utenti chi è lo stalinista e lo sgarbato? O pretendete pure che vi arrivino gli applausi per l'atto di violenza perpetrato verso milioni di utenti?
A chi di voi prima di chiudere è passato per il cervello di buttare giù un sondaggio per sapere cosa si pensa di indy fuori dalle sacre stanze? A nessuno.
Chi di voi ha pensato a scrivere una riga di scuse all'utenza nella home temporanea? Nessuno.
E allora nessuno di voi merita rispetto, perchè nessuno di voi ne ha avuto. Il rispetto si riceve nella misura in cui lo si dà, non lo si può pretendere senza motivo.

lo spiritoso di cui sopra ha risposto:
a)chi degli utenti ha partecipato alla discussione?

b) il centinaio di persone che ha chiuso indy era quello che la faceva, visto che i milioni di utenti si limitavano ad usarla e stavano bene così

al che ho replicato con la

TERZA LETTERA AI BECCHINI DI INDYMEDIA

è qui che ti sbagli, tu e tutti gli altri che non hanno fatto niente di ciò che ho detto. Il punto è fondamentale, INDY NON SIETE SOLO VOI. E' la somma di voi+gli utenti e non voi CONTRO gli utenti come avete fatto senza chiedere niente a nessuno e rimanendo nella torre eburnea delle liste. Perchè potete dire e fare quel cazzo che volete, ma senza gli utenti indy non è niente, e quindi dovete rispettarli, SEMPRE. Se non capite che è questo il vero problema di indy, e non l'avete capito, non rinascerà un bel niente, garantito al 100%. O al massimo nascerà un bambino morto, che è anche peggio, perchè fai tanta fatica per partorire per poi non aver niente in mano.

poi un altro listarolo mi ha fatto le seguenti contestazioni (in corsivo, cui seguono le mie risposte):

1) se sei
iscritto a indy-process perche' parli alla lista dando del "voi"?
perchè in 2 mesi mi pare che voi continuiate a concepirvi come qualcosa di irrimediabilmente separato dagli utenti e questo imho è grave. Non a caso si è arrivati a proporre il "comitato centrale degli admin" che decide cosa va evidenziato tra le news e cosa no, dando x scontato che tanto i poveri utenti imbecilli seguono la corrente e quindi se votano loro pompano le notizie mainstream. Siete voi che ragionate come un noi scisso dalla totalità degli utenti.

2) c'e' qualcosa che posso anche vedere come propositivo in questa caustica e sterile forma di polemizzazione

La causticità era x dare una smossa all'ambiente su un tema che a me (ma per fortuna pure ad altri come vedo dalle mail che mi arrivano) sembra particolarmente importante. Non si può liquidare la questione con un "noi siamo le liste noi abbiamo consensuato la chiusura, gli utenti sono utenti e quindi si fottano, se vogliono contare entrino nelle liste". Forse sarebbero entrati in massa se anzichè chiudere indy praticamente senza confronto fuori dalle liste si fossero chiesti dei pareri agli utenti o li si fosse spronati a contribuire al salvataggio di indy.Magari mettere la splash un mese prima della chiusura, e non dopo, a babbo morto. Così la cosa è apparsa come un'imposizione dall'alto, e ciò non è un bene per la democraticità di indy.

3) Se indy perde la sua semplicità perde il 90% dei suoi potenziali utenti. (scritto mio)
Si ma dato che prima dicevi che tanto il 90% dell'open >publishing e'merda, mi confermi che sarebbe ok. (commento suo)
il problema è che non è così scontato che i due 90% coincidano...non solo, chi è che + facilmente vorrà continuare a scrivere e avrà i mezzi per farlo? Le organizzazioni, che continueranno a farsi pubblicità coi loro comunicati, tipo pcRol, campisti e affini...mentre il singolo utente farà + fatica...

a questo punto, dopo tanti giri di parole ipocriti, è intervenuto un altro listarolo che ha detto chiaramente qual è il pensiero dominante presso lo zoccolo duro di admin e tecnici di indy (tra parentesi il mio commento):
Indymedia non e' mai stata degli utenti. (e questo si era capito, se gli utenti avessero contato qualcosa indy non sarebbe stata chiusa)
Indymedia era un media di "movimento" gentilmente offerto (troppa grazia, signor padrone, addirittura mi dà lo stipendio oltre a concedermi l'onore di lavorare 24 ore al giorno per lei)
da volontari approssimativamente definibili come anarchici (che strana concezione di anarchia quella di chi offre qualcosa alla comunità salvo riservarsi il diritto di riprendersela quando non è più come aggrada a lui, dopo l'anarcocapitalismo c'è l'anarchia per grazia ricevuta)
Gli utenti sono anche la causa della chiusura. E di sicuro non saranno il motore della riapertura. Di sicuro non tu.

grazie caro, questa tua rivendicazione di colpevolezza mi basta e avanza. Come il silenzio degli altri listaroli spiega meglio di mille parole che quanto pensi tu lo pensano anche loro. Finalmente avete ammesso che indy è il vostro giochino e che siccome gli utenti ve l'hanno portato via, adesso come i tutti bravi bambini onesti vi portate via il pallone quando vedete che state perdendo la partita. A questo punto ho ritenuto inopportuno rimanere in lista, per impedire che qualcuno in futuro dica che quello che decidono i soliti 4 gatti è condiviso perchè in lista ci sono 400 iscritti e tutti sono stati d'accordo. Io non sarò loro complice. Pertanto mi sono disiscritto dalla farsa della lista con una lettera che adeguandosi al tono della medesima copia i toni di Totò e Peppino:

SALUTI E BACI AI BECCHINI DI INDYMEDIA
Signori, veniamo noi con questa mia addirvi, che scusate se sono poche ma la mia mail, noi ci fanno specie che questanno, c'e' stato una grande moria delle email come voi ben sapete, e pertanto la mia email è stata eliminata dalla vostra lista. Questa mail serve a che voi vi consoliate dal dispiacere che avreta perche' spero che con me lascino la lista quelli che hanno avuto l'insolenza di darmi il loro appoggio dopo la mia del giorno di ieri. Siccome noi siamo Cafoni ma abbiamo bazzicato collettivi, partiti e quant'altro, sappiamo come quando c'è uno scontro interno chi vince, fosse anche di un voto, è solito assegnarsi i pieni poteri e dirsi plebiscitato da quei compagni coi quali fino a 5 minuti prima faceva a coltellate. Noi Cafoni non lo permetteremo, e quindi impediremo a chi partorirà la nuova indymedia di dire che essa è voluta da una lista di ben 400 partecipanti. Per il momento impediamo di mettere il nostro nome in quella lista, perchè non vogliamo essere in nessun modo complici dello scempio che si sta perpetrando ai danni di indymedia. noi medesimo di persona vi mandiamo questa mail perche' indymedia è un sito che funziona e che deve tenere la testa al solito posto cioe' sul collo, e non sotto il giogo di chi dice
> Indymedia non e' mai stata degli utenti.Indymedia era un media di "movimento" gentilmente
> offerto da volontari. Gli utenti sono anche la causa della chiusura, almeno in parte. E di sicuro
> non saranno il motore della riapertura.
almeno adesso anche noi, che siamo i sottoscritti fratelli Cafoni sappiamo di non aver mai contato niente e di essere stati semplici veicoli del vostro giochino. Infatti è risaputo che siete voi che avete fatto le migliaia di accessi al sito ogni giorno, siete voi che avete pubblicato migliaia di notizie, siete voi che avete fatto diventare indy un sito di rilevanza nazionale. Grazie, e associo ai ringraziamenti le migliaia di fratelli/e Cafoni che non sono mai esistiti in questi 5 anni e che mi auguro non esisteranno quando indy dovesse riaprire. Personalmente, noi provvederemo a ricordare ai nuovi utenti le nobilissime reali motivazioni di chi ha deciso, UNICO AL MONDO (e già questo dà la misura del vostro tasso reale di democraticità), di chiudere indymedia, che si riassumono in una sola frase: GLI UTENTI NON ESISTONO, NON CONTANO E NON CONTERANNO MAI UN CAZZO. Lo dobbiamo agli sprovveduti che dovessero in futuro credere ancora ai vostri slogan populistici degni di ben altri palcoscenici, del genere "become your media" e fuffa simile. Se poi sono masochisti e vorranno essere buoi al vostro giogo fatti loro, il nostro imperativo categorico ci impone di dir loro la verità. Dixi et servavi animam meam.
Salutandovi indistintamente i fratelli Cafoni che siamo noi
senza nulla a pretendere
In data odierna.

al mio abbandono si è associato quello di un altro utente di cui reputo interessante leggere le considerazioni:

la quantità è anche qualità. Se indymedia è diventata più grande di quello che pensavate quando l'avete messa su il vostro ruolo cambia: non potete più essere i padroni del mezzo se è troppo grande, dovete necessariamente diminuire il vostro peso anzichè aumentarlo con registrazioni, voti, tag e quant'altro. Anzichè creare altri 100 lavori da fare limitatevi a farne uno solo, che è quello di fare rispettare la policy. Se fate i bravi vigili urbani il traffico scorrerà, non potete mettervi a prendere per mano la vecchietta che deve attraversare, perchè mentre lo fate intanto il traffico intasa la strada...
già che me ne vado insinuo un dubbio: non è che la verità sulla chiusura è che vi rode vedervi ridimensionati a vigili urbani anzichè a padri-padroni e tutte le nuove cose che volete mettere su indy servono soltanto a riappropriarvi del vostro ruolo originale?

ovviamente la farsa deve continuare, e dopo questo primo atto ne è seguito un secondo, a cui ho assistito con lo stesso interesse dello spettatore di un giallo che conosce già l'assassino, dove è accaduto quello che tutti potevano immaginare, ovvero la naturale conseguenza del fatto che gli admin hanno chiuso indy non per colpa degli utenti (per quelli bastava ripulire lo spam, che è un lavoro da niente), ma a causa dei loro scazzi.
Pertanto invece di indy nazionale avremo 10 indy locali dove ogni gruppettino farà i cazzi suoi e il 99% degli utenti, che sono quelli interessati alle questioni di rilevanza nazionale e internazionale e non agli scazzi dei polli di Renzo della propria regione o città, se la piglierà in quel posto, esattamente come ha dovuto fare quando con atto di violenza inaudito (dove non hanno potuto gli sbirri e i giudici poterono gli admin) è stata chiusa indy italia, la seconda indymedia al mondo per numero di contatti.

Acta est fabula, plaudite! (come dicevano gli attori romani alla fine della recita, e come disse Augusto sul letto di morte....lascio scegliere al lettore quale delle 2 circostanze è più adatta alle vicende narrate....)

i valorosi esportatori di democrazia

L'ombra scura dei guerrieri - Emilio Quadrelli

Tu hai partecipato ad alcune missioni di pace. Con quale spirito le hai affrontate?

Intanto cominciamo col dire una cosa: in qualunque modo la cosa può essere presentata, tutti noi sappiamo che quello che ci aspetta è di andare in guerra. Come viene presentata è una cosa che, per convenienza loro, i politici la raccontano come gli viene meglio, ma come vanno sul serio le cose è tutto un altro discorso. Noi partiamo sapendo quello a cui andiamo incontro e con chi e che cosa avremo a che fare. Sappiamo che, in ogni caso, ci troveremmo di fronte un nemico spietato e barbaro che combatte per distruggere il nostro mondo e la nostra civiltà. Forse sarebbe più giusto dire che le nostre sono missioni di pacificazione piuttosto che di pace. Si che sono palesemente ostili verso tutto ciò che noi rappresentiamo e che non accettano di stare al loro posto. Tu sai che quelli non sono come te, sono altre razze, altre culture, altri modi di vedere il mondo, sai soprattutto che sono inferiori a te ma questo non vuol dire che non siano pericolosi. Anche i topi e gli scorpioni possono uccidere. La nostra superiorità, che ancora prima che militare è morale e culturale, non è neppure in discussione, per questo non possiamo che vincere, ma questo non vuol dire che le operazioni di pacificazione siano una passeggiata. Anzi, questo l'ho imparato direttamente sul campo, la guerra contro questo nemico è molto più dura di quanto
onestamente mi sarei aspettato. Il problema è che sono come delle bestie feroci e sono in grado di sopportare condizioni a noi inimmaginabili. Me ne sono reso conto guardando a come reggono agli interrogatori. Hanno la stessa resistenza al dolore delle bestie e questo ti dice quanta differenza ci sia tra noi e loro. Sono capaci di bere litri di acqua sporca come se fosse Coca Cola oppure lasciarsi scorticare lanciando dei mugolii che mi ricordano quelli dei gatti quando da piccolo li prendevo e li scorticavo vivi, ma senza piegarsi. Non si tratta di eroismo, perché loro non sanno neppure cosa possa voler dire essere degli eroi, semplicemente il loro grado di sopportazione è la palese manifestazione della loro somiglianza alle bestie.

Eppure le immagini, specie dal Kosovo e dall'Afghanistan, vi mostrano mentre fornite cibo, mentre costruite scuole, ospedali e date aiuto alle popolazioni. Non è un po' in contraddizione con quanto affermi?

Quelle sono messe in scena per la stampa. Si prende una zona non troppo devastata si radunano un po' di civili che, in cambio di qualche cosa, mangiare, due spiccioli, la concessione di qualche privilegio, si prestano a recitare quelle parti. Quando in alcuni casi ci sono riprese in prima persona e pezzi di intervista , si tratta di civili che lavorano per noi e che la maggioranza della popolazione odia ancora più di noi perché li considera dei traditori. Appena ne hanno l'occasione gli fanno la pelle e se possono gli fanno anche rimpiangere di essere nati. Di civili ammazzati immagino che ne leggi tutti i giorni, ma sentirai parlare solo di quelli uccisi dai loro connazionali, non di quelli che facciamo fuori noi, anche perché se no non ci vorrebbe un giornale ma un'enciclopedia.

Che rapporto c'è tra voi e i civili?

Intanto bisogna dire che, dal nostro punto di vista, non esistono civili. Noi partiamo dal presupposto che quelli che ci troviamo di fronte sono tutti nemici. Che ci sparino addosso, piazzino le bombe o siano pronti a tenderci un'imboscata o lavorino per i terroristi dandogli appoggi, informazioni, nascondendoli, procurandogli cibo e medicinali ha poca importanza. Solo gli stupidi, o chi non c'è stato, può pensare che operiamo in luoghi dove siamo amati e benvoluti, quasi che non aspettassero altro di averci lì. Si vive in una situazione di odio reciproco dove è normale diffidare anche di quelli che fanno le spie per te. Non è scontato che non stiano facendo il doppio gioco. Perciò non si può parlare di un rapporto con i civili. L'unico rapporto possibile è quello che c'è tra la forza che noi imponiamo e la loro disponibilità o meno a sottomettersi e a riconoscerla. Forse gli unici civili che stanno con noi sono gli uomini legati al governo. Questi, grazie a noi e agli interessi politici che ci sono nel tenerli in piedi, si stanno facendo i sacchi. In quelle zone ci sono traffici di tutti i tipi e i governativi si prendono la loro stecca.

Che tipo di traffici?

Dipende dai posti. In alcuni prevale la droga, specie in Afghanistan, nei Balcani armi, donne, operai. E poi c'è il grande business degli aiuti umanitari, che finiscono nei depositi gestiti dalle forze militari e poi sul mercato nero. Sono tutti traffici in cui i governativi ci sguazzano.

In cosa consiste il business degli operai?

Dipende. Nei Balcani si tratta di reperire forza lavoro a prezzi bassissimi per gli imprenditori che si sono precipitati in quelle zone. C'è una richiesta fortissima e noi la soddisfiamo con i rastrellamenti. Andiamo in una zona, portiamo via tutti quelli in buone condizioni e li trasferiamo nei centri di raccolta da dove vengono smistati. I centri sono gestiti a volte dalle polizie private degli imprenditori o da gruppi criminali locali. In altre zone, soprattutto in Iraq, la raccolta degli operai è fatta per metterli a lavorare per le industrie che interessano agli inglesi e agli americani. Nell'area balcanica sono traffici privati che gli organismi ufficiali conoscono e tollerano ma senza entrarci direttamente, in altri posti sono invece direttamente gestiti dagli apparati.

Quindi questo comporta un modello di relazione con le popolazioni civili particolarmente teso?

Intanto ti ripeto che non ci sono militari e civili ma ci siamo noi e ci sono loro. Questa è la distinzione dalla quale devi partire. Questa non è una guerra come quella dei film, questa è la guerra vera ed è tra noi e loro. Non c'è niente che non riconduca alla guerra. Traffici a parte, che sono delle cose che ognuno si vede un po' per conto suo, d'altra parte siamo lì anche per difendere il diritto alla libera iniziativa, cibo e medicinali li usiamo per tenere sotto pressione le
popolazioni e costringerle a collaborare. Hai fame? Ti diamo delle scorte alimentari se ci dici tutto quello che sai o hai sentito dire sulla guerriglia. Tuo figlio sta male? Lo curiamo ma tu in cambio ci fai questo favore. Ecco, funziona un po' tutto così. Poi quella è gente non diversa dagli animali e al massimo li puoi trattare come un animale un po' addomesticato. Ma questa è una cosa che sanno tutti perché sono come gli extracomunitari che ci sono anche qua.

In cosa consiste la controguerriglia psicologica della quale, per altro, ufficialmente nessuno ha mai sentito parlare?

Questo mi sembra abbastanza normale, semmai dovrebbe far scalpore il contrario. L'idea che i non addetti ai lavori hanno in genere della guerra è quella vista al cinema o alla tv, con i film della seconda guerra mondiale. Da tempo quel tipo di guerra non esiste più. È normale che almeno il 70% delle operazioni belliche siano oscurate o addirittura ufficialmente non compaiano da nessuna parte. Si tratta di operazioni coperte, così come tutta la conduzione della guerra è in qualche modo sotterranea. È vero per la controguerriglia psicologica così come per tanti altri aspetti. Per esempio le operazioni di bonifica. Raramente se ne sente parlare e, quando capita, le si fanno passare per operazioni contro postazioni ribelli. In realtà le battaglie ufficiali, quelle contro insediamenti della guerriglia, sono solo una piccola parte di quanto avviene sul campo, anche se sono le uniche continuamente mostrate. Questo perché, essendo le più vicine alla dimensione classica della guerra, sono quelle più facilmente mostrabili all'opinione pubblica. E anche queste, in ogni caso, sono mostrate in modo un po' ridicolo perché sono sempre preorganizzate. Le riprese non avvengono mai in diretta ma sempre dopo. Così si può
preventivamente selezionare il materiale video e, se ci fai caso,non si vede mai il campo di battaglia a operazione conclusa ma sempre in una fase iniziale. Altre volte si tratta di riprese del tutto simulate dove qualcuno recita la parte dell'assaltatore e, senza essere inquadrato, qualcuno spara qualche colpo fingendo di essere della guerriglia. Tanto è vero che non si vedono mai le armi che vengono usate negli assalti.

Ti riferisci al fosforo bianco?

A quello ma non solo. Il fosforo bianco è quello che ha fatto più scalpore semplicemente perché tutti ne sono venuti a conoscenza ma per arrostire i terroristi i modi sono tanti, ovviamente non possono essere mostrati. Anche questo, in realtà, è una parte del lavoro di controguerriglia psicologica. Un lavoro che consiste nel rendere impensabile, tra la popolazione, l'idea stessa di poter resistere o mostrarsi semplicemente ostili. La controguerriglia psicologica ha lo scopo di annientare la volontà del nemico. Non lasciargli speranze.

Al di là di tutto, quelle in cui siete impegnati sono missioni di guerra a tutti gli effetti che si potrebbero addirittura considerare come guerre totali?

Ma vedi, bisogna un po' capire come funzionano le cose altrimenti si finisce con l'avere un'idea del tutto sballata delle guerre in cui siamo impegnati. Il primo problema che devi affrontare è far capire chi comanda. Devi togliere a quella popolazione ogni punto di riferimento e azzerare qualunque tipo di autorità, di qualunque tipo. Devi fargli capire che la loro vita e la loro morte dipendono solo da te che loro non sono niente. Che tu puoi tutto e loro niente. Questa è la prima fase, quella dove devi agire a tappeto. Non colpisci qualcuno perché è sospettato di qualcosa ma semplicemente perché sta lì davanti a te. Tu sei il suo padrone e lui il tuo servo. I modi sono tanti. La tecnica del gioco del bowling è uno di questi. Non devi esagerare però come impatto iniziale dà dei buoni effetti. Vai in giro con il blindato e ti scegli un obiettivo a caso e poi cominci a
corrergli dietro. A volte,dopo averlo fatto correre un bel po' lo lasci andare, altre lo schiacci e lo lasci spiaccicato come una formica. Questo è l'obiettivo. Nei tuoi confronti devono sentirsi impotenti come degli insetti, capire che tutto dipende da te e che loro non hanno alcun diritto e possibilità di opporsi. Un altro sistema importante è la violenza verso le donne davanti agli uomini della famiglia. Fare fottere la moglie, la madre o la sorella da 5-6 militari davanti ai maschi della famiglia è un modo per fargli perdere completamente l'autostima e farli regredire in uno stato catatonico dal quale non si riprendono più. Un altro sistema è quello di mitragliare, mentre passi, senza alcun motivo i passanti. Cioè, senza farla troppo lunga, la prima fase è quella del terrore. Non è selettiva ma serve a far capire chi guida le danze. Poi ci sono quelle maggiormente mirate. Un lavoro importante è la continua ridicolizzazione dei loro simboli che, a seconda dei casi, possono essere nazionali o religiosi. Le storie sul Corano, che ormai sanno tutti, sono una di queste tattiche. In questo modo, colpendo i simboli a cui si sentono maggiormente
legati, se ne intacca la fiducia in profondità. Devi tenere presente che hai a che fare con gente che non è come noi, è molto più facilmente impressionabile e molto più attaccata a certe cose, sono un po' dei creduloni e se gli fai rotolare nel fango i simboli a cui loro danno tanta importanza, per loro è uno choc che li annichilisce.

S. è una giovane militare che aspira a diventare «forza combattente».

Come nasce la tua vocazione per la carriera militare?

Fin da piccolo sono sempre stata attratta dall'idea di intraprendere una carriera alla quale, di solito, le donne non aspirano o sono sconsigliate dal farlo. Dopo aver visto Soldato Jane questa sceltami si è materializzata davanti. Mi sono identificata in lei e ho iniziato la mia personale battaglia per raggiungere quello scopo. Ho deciso di entrare nell'esercito e mi sto preparando a coronare il mio sogno: diventare effettivo di un'unità operativa.

Come consideri il veto che è ancora posto alle donne nei confronti di questa professione?

Esattamente un'ingiustizia e per più motivi. Soprattutto considero una contraddizione in termini negare l'accesso alle donne a una professione solo perché donne, senza tenere minimamente presente che, l'idoneità al combattimento,non può essere risolta in termini generali ma particolari. È una scelta selettiva che deve tenere conto delle attitudini individuali le quali, con l'appartenere a un genere piuttosto che a un altro hanno ben poco a che fare. In più questo contraddice palesemente i valori per cui il mondo libero si sta battendo e per i quali io credo sia fondamentalmente giusto combattere senza tentennamenti. La guerra che giustamente stiamo combattendo contro il terrorismo globale è condotta in nome di quanto ci è di più caro: la libertà individuale, una società fondata sulla meritocrazia e quindi sulla libera concorrenza di tutti gli individui e la loro concreta possibilità a misurarsi nelle sfide della vita, una società non schiacciata in basso ma che consente a ciascuno di farsi valere per ciò che è. Quindi impedire a priori a una donna l'accesso alle unità combattenti lo trovo in aperta contraddizioni verso tutto ciò in cui crediamo. Fortunatamente il buon senso sembra che stia per prevalere e le selezioni saranno basate unicamente sui test che ogni candidato dovrà affrontare. A quel punto penso di potermela giocare fino in fondo.

Quindi, se tutto andrà per il meglio, tra non molto potresti essere schierata in prima linea in zone di guerra. Con quale spirito ti accingi a farlo?

Con lo spirito e la certezza di essere dalla parte del giusto. Per combattere, dato per scontato la necessità di un'adeguata preparazione e di una manifestata idoneità a reggere il conflitto sul campo, occorre una motivazione. Una determinazione che non puoi certo trovare solo nella consapevolezza di saper fare bene il tuo mestiere. Fare il soldato non è come andare a fare l'impiegato in comune, non puoi non sentirti coinvolto in ciò che fai. Quindi la motivazione che ti spinge a combattere finisce con l'avere un peso fondamentale.Tu sai che vai a uccidere, perché poi è inutile girarci tanto in giro, la guerra è questa: uccidere il nemico e non è una cosa che puoi fare senza aver chiaro chi è e perché lo stai per annientare. Se così non fosse, non saresti più un soldato ma un killer a pagamento e noi militari non siamo certo degli assassini prezzolati. Quindi, questa non è una cosa solo mia sia chiaro ma è ciò che nell'esercito si dice con molta chiarezza, l'idea di contro chi ci battiamo è molto chiara e del perché ci battiamo ne siamo non solo coscienti ma orgogliosi. Sotto certi aspetti, la guerra attuale, è un po' la continuazione della guerra contro il comunismo. Anche adesso si tratta di liberare il mondo da un modello totalitario che schiaccia gli individui e li trasforma in semplice massa di manovra. Un nemico che vive e prospera, non diversamente dal comunismo, sull'ignoranza e l'azzeramento dell'individualità alla quale, per di più, aggiunge il fanatismo religioso e un modello di società organizzato per caste. Tutto ciò contro il quale le società occidentali si sono da sempre battute.

Quindi è un nemico a dir poco assoluto nei confronti del quale non è pensabile un riconoscimento di pari dignità?

No questo mi sembra del tutto impensabile. La guerra in corso non è condotta contro un esercito simile al tuo, a cambiare non è il colore di una divisa ma due idee del mondo e della vita totalmente diverse. Da una parte c'è la civiltà, il benessere, la libertà dall'altra barbarie, fanatismo, tribalismo. È uno scontro tra due mondi.Da una parte l'Occidente progredito, intraprendente e civile, dall'altra popolazioni il cui sviluppo si è attestato a livello inferiore dando
forma a società obiettivamente inferiori alle nostre. Credo che, sulla base di quanto la storia ha dimostrato, l'Occidente può vantare a pieno titolo una supremazia su queste popolazioni e non può e non deve tollerare di essere minacciato da queste. In gioco c'è il modello di vita occidentale, al quale non possiamo e aggiungerei non vogliamo rinunciare in alcun modo.

Quindi contro questo nemico non ci sono e non ci possono essere mezzi termini?

Senza voler scandalizzare nessuno anche se ultimamente non sono in pochi a parlarne in positivo, penso che nei confronti di queste popolazioni, non solo per la nostra sicurezza ma anche per il loro benessere, il colonialismo non sia poi una soluzione così detestabile. A quale stadio di civiltà sarebbero molti popoli se non avessero potuto usufruire dei benefici del colonialismo inglese o francese? n quali condizioni sarebbero precipitate intere aree del mondo se, anni addietro, gli americani con i loro interventi a tutti i livelli non fossero intervenuti per bloccare l'espansione comunista? Cosa sarebbero diventate queste popolazioni se le avessimo lasciate da sole? Credo che queste sono le domande alle quali noi, e come soldati per primi, siamo chiamati a rispondere. Allora mi chiedevi qual è il limite da adottare nei confronti di questo nemico? La risposta non è complicata. Nessun limite nei confronti delle forze ostili e al contempo un graduale inserimento di quella parte di popolazione che si mostra più adatta o adattabile ai valori del mondo occidentale. Credo che la nostra missione sia essenzialmente una missione di civilizzazione ma non puoi civilizzare un posto se prima non hai eliminato la teppa che lo infesta. E il nemico che combattiamo non merita un riconoscimento e una stima diversa da quella che riserviamo al teppista di strada. Per questo prima è necessario bonificare in profondità il territorio

A qualunque prezzo?

Non si possono fare le frittate senza rompere le uova.

Siamo partiti con non poco entusiasmo per andare alla ricerca di un particolare tipo umano, ma con non poca delusione siamo giunti a una scoperta stupida e terrificante, la stessa alla quale era pervenuta Arendt in uno dei suoi scritti più suggestivi: dietro l'orrore dell'olocausto e della tragedia nazista non vi era nulla di eccezionale ma la prosaica banalità del male dell'uomo qualunque. La nostra banalità.
Alias - 16.12.06