venerdì 20 febbraio 2009

la lotta dura paga sempre: impariamo dai lavoratori della Guadalupa

Guadalupa; Ventisettesimo giorno sciopero generale,ancora scontri
Pointe-a-pitre (France), 17 feb. (Apcom) - Barricate spontanee sulle strade, scontri e tensione crescente in diversi comuni dell'isola di Guadalupa, nelle Antille francesi, paralizzata da 27 giorni da uno sciopero generale, in protesta contro la madrepatria. Anche nella vicina Martinica, in sciopero da 11 giorni, la situazione è ugualmente bloccata e 15mila persone sono scese in piazza ieri sera a Fort-de-france. Una manifestazione di solidarietà si è svolta ieri sera a Parigi con la partecipazione di migliaia di persone della sinistra, al grido di "Finita la colonizzazione!" "Antille e madrepatria, yes we can!", "Abbasso la grande distribuzione". Sordi alla richiesta di tregua del segretario di Stato all'Oltremare francese Yves Jego, e all'appello "al sangue freddo" del presidente (partito socialista) della regione Victorin Lurel, manifestanti e scioperanti hanno moltiplicato gli scontri e gli atti di violenza. L'annuncio del presidente della repubblica Nicolas Sarkozy di un appuntamento giovedì con gli eletti di tutti i dipartimenti d'Oltremare - prima iniziativa diretta del capo dello stato nella crisi antillese - non ha influito sulla determinazione dei manifestanti a continuare lo sciopero fino a quando non saranno accolte le loro richieste. Queste isole, ad oltre 7mila chilometri di distanza dalla Francia, meta delle vacanze dei francesi, conoscono una gravissima crisi sociale ed economica. Il tasso di disoccupazione è del 22% nella Guadalupa (450.000 abitanti) e nella Martinica (400.000 abitanti). Il Pil pro capite è appena il 60% della media francese. In totale nei Dipartimenti d'Oltremare nel Pacifico e nell'Oceano indiano vivono 2,3 milioni di abitanti.
http://www.apcom.net/news/rss/20090217_103000_1bb4b9d_56428.html

Guadalupa; Fillon propone aumento 200 euro per stipendi più bassi

Parigi, 19 feb. (Ap) - Il primo ministro francese Francois Fillon ha dichiarato che il governo di Parigi è pronto ad andare incontro alle richieste degli abitanti di Guadalupe e "propone un aumento di 200 euro per i salari più bassi". La sua proposta, ha spiegato il premier su Rtl, sarà sottoposta a "patronato e sindacati" di Guadalupa già in mattinata. FIllon ha denunciato il clima di violenza che si è manifestato in queste ultime settimane sull'isola delle Antille francesi e ha condannato l'uccisione di un sindacalista: "Un crimine commesso da delinquenti in cui le forze dell'ordine nono sono affatto implicate".
http://www.apcom.net/newsesteri/20090219_195357_46aa7ed_56589.shtml

giovedì 19 febbraio 2009

perchè non parlo quasi mai dell'Italia

perchè siamo Il popolo più analfabeta, e abbiamo la borghesia più ignorante d'Europa (cit.). Per cui il popolo non è capace, politicamente, moralmente, e intellettualmente, di ribellarsi, e la borghesia, ignorante perchè mai classe dirigente, ma sempre classe parassitaria, ha i piani che ho descritto in due interventi su una mailing list che accorpo qui sotto.

i sanfedisti italioti (clero, mafia, corporazioni professionali, pseudoimprenditori buoni a far soldi solo tagliando gli stipendi) continueranno a fare profitti sulla pelle dei lavoratori, a
costo di ridurli tutti in miseria, ma l'hanno già fatto 2 volte.
La borghesia commerciale italiana (e veneziana in particolare), che
aveva inventato il capitalismo nel '400, quando con la scoperta
dell'America vide la sua scomparsa dalla mappa del commercio
internazionale a favore delle potenze atlantiche cosa fece? Si comprò
le terre e continuò a ingrassare a spese dei contadini, e così
l'economia italiana si fermò per 3 secoli, ma tanto loro la pancia
l'avevano sempre piena, visto che erano i cafoni a pagare la stasi.
La seconda volta fu col fascismo, quando di fronte alla sfida
rappresentata da un proletariato capace di portare avanti le sue
rivendicazioni anzichè diventare socialdemocratica e concedere salari
decenti agli operai che avrebbero ricambiato diventando consumatori a
livelli USA e quindi creando le condizioni per una crescita economica
poderosa, preferì rinchiudersi nelle proprie proprietà e usare i
picchiatori fascisti per tutelare l'ordine, a costo di bloccare, come
avvenne, l'economia italiana per 20 anni.
Adesso si sta tornando alla stasi economica (e alla miseria di massa)
dell'età post-tridentina e dell'era fascista, che ci sia un regime
totalitario compiuto o meno.
E' proprio questa la forza coagulante del regime
berlusconiano: Berlusconi (leggasi Gelli) ha capito da tempo che
l'economia italiana è strutturalmente incapace di reggere la sfida
della globalizzazione e ha elaborato un progetto politico conseguente:
basta con la società dei due terzi, col welfare state, con la pretesa
che tutti si facciano le ferie tutti gli anni; tanto non ce lo potremo
più permettere, dividiamo la società italiana tra un decimo di
privilegiati che continuerà in eterno a far la bella vita e il resto
che si scanna nella guerra tra i poveri, perchè al tenore di vita
attuale dovrà rinunciare, con le buone (manganello catodico che ti
convince che non esiste la società ma solo il singolo e quindi se ti
licenziano è colpa tua che sei un fallito e non del padrone che
scarica su di te la sua incapacità di adeguarsi al mercato) o con le
cattive (Genova 2001, botte agli operai come a Milano qualche giorno fa).
E' chiaro che alla chiamata alle armi i sanfedisti rispondono con
entusiasmo e sono pronti a collaborare cacciando dalla spartizione del
reddito i lavoratori. Per cui se ieri si produceva 100, il padrone si
prendeva 50 e i 10 operai 10 a testa, domani si produrrà 60 e il
padrone il suo 50 se lo tiene tutto, e poi sono cazzi degli operai
spartirsi un quinto del reddito...
Ecco perchè non fanno niente di fronte alla crisi: perchè non li
tocca. Se si produce la metà, loro si prendono tutto e non lasciano
niente ai lavoratori, semplice e lineare. E' quello che sta succedendo
adesso con le reazioni furiose di tutta la maggioranza (e persino
della CISL, ma che siano sindacato giallo ormai è palese) alla
proposta di Epifani di aumentare le tasse sui redditi più alti, oltre
i 100000 euro: nessuno che guadagna così tanto muore di fame se paga
qualche migliaio di euro in più di tasse ogni anno, eppure non
vogliono mollare neppure quell'elemosina...
la borghesia italiana ha già deciso che anche questa volta la crisi la
pagheremo noi. Solo che noi lo sappiamo, tutta quella marea di futuri
poveri che credevano di non essere più proletari solo perchè erano
diventati piccoli imprenditori, o impiegati, o chissà che altro, non
lo sa, ed è incazzata nera. Ed ecco che per loro c'è il capro
espiatorio extracomunitario, che è molto più comodo dell'ebreo del
'38, visto che ce ne sono molti di più da vessare...
http://it.groups.yahoo.com/group/marxiana/message/5315
http://it.groups.yahoo.com/group/marxiana/message/5317

domenica 8 febbraio 2009

atti del seminario "La guerra israelo-occidentale contro Gaza" tenutosi a Roma il 24 gennaio 2009

Seminario ʺLa guerra israelo‐occidentale contro Gazaʺ
Roma 24 gennaio 2009
Centro Congressi Cavour
Sessione di apertura

Perché questo seminario
Alfredo Tradardi ISM‐Italia

Panel 1: Un nuovo secolo di barbarie
Coordina Biancamaria Scarcia Università di Roma

Genocidio a Gaza e Pulizia Etnica in Cisgiordania
Ilan Pappè Exeter University

La Politica Italiana e Europea in Medio Oriente
Giulietto Chiesa Europarlamento

Le Vere Ragioni della Crisi Politica Palestinese
Karma Nabulsi Oxford University

Il Modello Israeliano di Occupazione e Repressione
Giorgio S. Frankel Giornalista

Panel 2: Responsabilità e complicità dellʹEuropa

La Catastrofe dei Media Occidentali
Vladimiro Giacchè Analista politico

Medio Oriente, Escalation Militare, Rischi di Guerra Nucleare
Angelo Baracca Università di Firenze

Le Simmetrie Asimmetriche
Sergio Cararo Giornalista

La Risposta Italiana allʹAppello Palestinese al Boicottaggio (BDS)
Diana Carminati Università di Torino

Le Nostre Responsabilità e i Nostri Impegni
Alfredo Tradardi ISM‐Italia

Oltre Totem e Tabù, note a margine del saggio di Ilan Pappé
Flavia Donati Psichiatra

Ancora un Tradimento dei Chierici! (lʹultimo?)
Angelo DʹOrsi Università di Torino

link
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venerdì 6 febbraio 2009

Il sionismo è una malattia psichiatrica

“Gli Israeliani non sono mai stati particolarmente gentili gli uni con gli altri. Questa è una delle ragioni per cui sono andata via. Quando avevo vent’anni ho cominciato ad essere stanca del clima di scortesia, di acrimonia e di rancore intono a me. Era un posto duro dove vivere, non per i nostri “nemici”, ma per come le persone si trattavano tra di loro…L’unica cosa che poteva unire le persone e tirar fuori temporaneamente un pò di gentilezza e di senso di solidarietà era la sensazione di trovarsi sotto una minaccia collettiva e in particolare di portare avanti una guerra per il bene comune. ”
“Israele e forse anche il resto del mondo, rifiutano di vedere che i problemi di Israele sono il risultato diretto del profondo trauma subito dagli Ebrei e delle sue conseguenze. La risposta israeliana al trauma è stata quella di armarsi fino ai denti, e di diventare un paese incredibilmente aggressivo, mentre perpetrava al suo interno e all’esterno il mito del vittimismo e della bontà. Come psicoterapeuta riconosco questa reazione al trauma. Alcune persone traumatizzate rispondono ad esso diventando molto forti e spaventosi. Questa è la reazione di chi è stato ferito, e una risposta al desiderio di non essere feriti di nuovo.”
“Sfortunatamente questo non è un modo buono o sano di vivere. Questa è un’esistenza che perpetua i conflitti interni, conduce all’isolamento e invita gli altri all’animosità. E’ difficile trasmettere buona volontà e gentilezza nel mondo quando il proprio mondo interno è basato sulla ricerca dell’avversario. Quello che è vero per i singoli individui può essere vero anche per le società intere. Israele ha avuto la possibilità di guarire il suo traumatizzato passato Ebreo ma invece ha scelto di perpetrare il trauma e di trasmetterlo alle generazioni successive. La vera creazione dello stato di Israele è una reazione al trauma. Se conoscete le dinamiche del trauma e le soluzioni che le persone cercano di trovare rispetto ad esso, potete capire perchè l’esistenza di Israele è sempre stata piena di problemi. Il fatto che Israele non abbia mai usato il suo sistema educativo e le istituzioni nazionali per facilitare la guarigione dal trauma è triste, ma non inusuale. Il trauma diventa così tanto una parte dell’identità della persona che ne soffre, che guarire significa cambiare il fondamento profondo di se stessi, qualcosa che la maggior parte delle persone, lasciate da sole, sono raramente preparate a fare. ”
“Il trauma è spesso accompagnato dalla negazione e le persone trascorrono le loro vite a cercare soluzioni al di fuori di sè. Nelle risposte aggressive e violente ai traumi, le persone sono portate a credere che sia ‘quella persona’ o ‘quel gruppo’ a causare il loro problema, e provano a fare qualcosa per ferirli o eliminarli. Le persone eventualmente vengono in terapia quando hanno provato tutto e realizzano che nessuna misura esterna può risolvere il loro problema, che deve esserci qualcosa in loro che devono mettere a posto. Sfortunatamente non tutti i tipi aggressivi vengono in terapia. Molti di loro finiscono in galera. Le persone con traumi irrisolti possono essere distruttive per gli altri, ma in fin dei conti, stanno vivendo un’esistenza insostenibile e sono distruttive per se stesse. Molte delle soluzioni che adottano durante la loro vita sono controproducenti e finiscono per danneggiare loro stessi, tanto quanto feriscono gli altri.”
“Gli Israeliani hanno assunto i Palestinesi come loro problema perenne, così da avere qualcuno da maledire ogni volta che il loro trauma raggiunge il punto clinico d’ingestibilità. Se Israele avesse voluto risolvere i suoi problemi con i Palestinesi, avrebbe potuto farlo molto tempo fa. Ma per fare questo Israele avrebbe dovuto compromettere il suo sogno razzista ed antidemocratico di costituire uno stato esclusivamente ebreo. E costituire uno stato esclusivamente ebreo è una reazione al trauma degli Ebrei, basata sulla semplice idea che gli Ebrei non sono al sicuro con i Non-ebrei e perciò hanno bisogno di un loro stato dove possono vivere separati dagli altri e quindi salvi. Abbandonare questo sogno richiederebbe una completa rivalutazione dell’identità e del sistema di valori israeliani ed ebrei. Non penso che Israele sia pronto per questo. Guarire è qualcosa che sfortunatamente, poche persone sono preparate a fare e immagino che lo stesso valga per intere società.”
Avigail Abarbanel

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giovedì 5 febbraio 2009

Obama e le guerre commerciali

Nonostante lo sforzo di Obama di presentare al mondo il volto morbido dell'egemonia americana, sulle questioni di fondo, quelle dei rapporti economici, il suo esordio appare addirittura più aggressivo di quello dell'amministrazione Bush. Molto preoccupante, a detta della maggior parte degli analisti economici, è stata l'uscita la settimana scorsa del nuovo ministro del Tesoro Usa, secondo il quale la Cina si sarebbe resa colpevole di aver manipolato la sua valuta, lo yuan renmimbi. La gravità dell'affermazione sta nel fatto che, secondo gli accordi tra Usa e Cina, in caso di manipolazione valutaria, gli Usa si riterrebbero autorizzati ad introdurre dazi per le merci importate dal paese estremo orientale. Da tempo gli Usa premono affinché la Cina rivaluti la sua valuta, che, a detta degli americani, è sottovalutata per facilitare le esportazioni cinesi.
Ma, mentre il precedente ministro del Tesoro, Paulson, preferiva assumere un atteggiamento "morbido", che prevedeva una rivalutazione graduale nel tempo, l'amministrazione Obama sembra meno disponibile a concedere dilazioni. Inoltre, i primi passi di Obama sono caratterizzati dalla ripresa del protezionismo, che per l'amministrazione repubblicana rappresentava una specie di bestemmia economica. Infatti, il pacchetto di stimolo economico anticrisi di oltre 800 miliardi di dollari che Obama presenterà al voto del Parlamento Usa è legato alla clausola del buy american, specialmente rivolta contro le importazioni di acciaio. Mentre in precedenza l'applicazione di tale norma era limitata alle spese per le autostrade, ora verrà estesa alle forniture per tutti i lavori pubblici.
Anche il sostegno finanziario all'industria automobilistica Usa è diretto ai soli produttori di Detroit, a proprietà Usa. E questo sebbene case giapponesi e tedesche abbiamo molti impianti produttivi, specie nel sud degli Usa, e sebbene ci siano casi di prodotti, come la Toyota Sequoia, che hanno un contenuto americano dell'80%, superiore ad esempio a quello della Patriot, prodotta dalla Chrysler, che, sebbene considerata americanissima, è costruita con lavoro americano solo al 60%. Di fronte al protezionismo Usa si sono levate le proteste di Ue, Australia e Canada. Di particolare interesse è stata la critica che, a Davos, è stata rivolta agli Usa da Cina e Russia. Sia Wen Jintao che Putin hanno puntato l'indice sulle responsabilità degli Usa nello scoppio della crisi. Secondo Wen la crisi è stata causata da inappropriate scelte macroeconomiche basate sul basso risparmio e sugli alti consumi, oltre che sulla eccessiva espansione di istituzioni finanziare alla cieca ricerca di profitto. Putin è stato ancora più diretto, sostenendo che la crescita globale ha subito danni perché un unico centro regionale stampa moneta senza tregua e consuma ricchezza materiale, mentre altri centri producono merci a buon mercato. Una chiara allusione agli Usa che hanno accumulato un enorme debito commerciale estero (specie con l'estremo oriente) e lo finanziano stampando carta (dollari), contando sul fatto che il dollaro ricopre il ruolo di moneta internazionale.
Inoltre, gli Usa finanziano con la vendita di titoli del tesoro in dollari anche il loro enorme debito pubblico federale. Non a caso sia Wen che Putin rivendicano una migliore regolazione delle varie valute di riserva e lo sviluppo di "molteplici valute di riserva regionali in aggiunta al dollaro". Molto interessante è stata anche la convergenza tra Cina e Germania, la cui cancelliera Merkel oltre ad esprimersi contro il protezionismo Usa ha rivendicato per l'Onu anche un ruolo di supervisione economica mondiale, con la costituzione di una sorta di Consiglio generale economico. La direzione presa dall'amministrazione Obama sembra rivolta ad accentuare la politica del passato, basata sull'ottenere finanziamenti dai paesi con grandi surplus commerciali. Ricordiamo che i maggiori possessori di titoli di stato Usa sono Giappone, Cina, Brasile e Russia e che il tesoro Usa si appresta a immettere sul mercato 2mila milardi di dollari in titoli di stato per finanziare le enormi spese anticicliche. Solo che, a differenza del passato, questo drenaggio finanziario, oltre ad aggravare la già pesante situazione di squilibrio nei conti mondiali, non verrebbe neanche compensato con l'acquisto Usa delle merci dei paesi finanziatori.
Per la Cina in particolare il protezionismo si concretizzerebbe in una vera guerra commerciale. Ad esempio, suo è il 30% dell'acciaio importato dagli Usa. Già oggi, inoltre, il Pil cinese è decresciuto sensibilmente, e sono sempre di più gli operai che lasciano le zone industriali per ritornare nelle campagne, con conseguenze estremamente pesanti per lo sviluppo del Paese. Dietro la retorica "universalistica" e "messianica" del discorso d'insediamento di Obama si delinea il fermo proposito di far pagare la crisi al resto del mondo, dopo averla scatenata con la pratica dell'indebitamento, riaffermando una egemonia che però non ha più le basi economiche di un cinquanta anni fa, quando gli Usa contavano da soli il 60% dell'export e il 50% del Pil mondiale. Guerre commerciali e difesa ad oltranza del ruolo unico di valuta internazionale da parte del dollaro non fanno presagire nulla di buono. Anche considerando che le guerre commerciali ed il protezionismo storicamente non hanno mai favorito la pace tra i Paesi.
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domenica 1 febbraio 2009

Il divieto della tortura che non vieta la tortura

Se siete sdraiato su un tavolo da orbitorio respirando ancora, con il vostro torturatore piegato su di voi, certo non vi può importare molto se questo è americano o una semplice recluta pagata dagli Stati Uniti.
Questa settimana, quando il presidente Obama ha apertamente dichiarato che "gli Stati Uniti non tortureranno" molte persone hanno creduto erroneamente che avrebbe interrotto la pratica, quando di fatto l'ha semplicemente ricollocata.
L'Ordine Esecutivo vieta ad alcuni — non a tutti — funzionari USA di torturare ma non proibisce a nessuno di loro, lui stesso incluso, di sponsorizzare la tortura all'estero.
In realtà, il suo cambiamento di politica incide solamente su una esigua percentuale di torture delle quali sono colpevoli gli USA e potrebbe di fatto portare a un incremento in tutto il mondo della tortura sostenuta dagli USA.
L'inganno sta nel fatto che a partire dal Vietnam, quando pure le forze USA spesso torturavano direttamente, gli USA hanno visto principalmente la tortura fatta per loro per procura — pagando, armando, addestrando e consigliando degli stranieri per farlo, ma solitamente stando attenti a tenere gli americani almeno ad un cauto passo di distanza.
Cioè, gli USA hanno avuto la tendenza a farlo in quel modo finché Bush e Cheney hanno cambiato protocollo e si sono avuti molti americani che usavano direttamente le mani e talvolta prevendevano fotografie digitali.
Il risultato è stato un fallimento di pubbliche relazioni che ha fatto infuriare l'establishment USA poiché smascherare davanti a tutto il mondo le tecniche USA ha ridotto il potere degli USA.
Ma, nonostante l'indignazione, la veirità era che sotto l'amministrazione Bush/Cheney le torture eseguite direttamente da americani sono state una trascurabile percentuale di tutte le torture che eseguite dai clienti degli USA.
Per ogni tormento inflitto direttamente dagli americani in Iraq, Afghanistan, Guantanamo e nelle prigioni segrete, ve ne sono stati molti di più impartiti da forze straniere sponsorizzate dagli USA.
Quelle forze operavano ed operano con il sostegno militare, finanziario e di intelligence o di altro tipo degli USA in Egitto, Israele, Arabia Saudita, Etiopia, Pakistan, Giordania, Indonesia, Thailandia, Uzbekistan, Colombia, Nigeria e Filippine, per menzionare qualche posto, per non parlare delle torture senza mani americane da parte di iracheni ed afgani appoggiati dagli USA.
Ciò che la dichiarazione di Obama apparentemente bandisce è quella piccola percentuale di tortura ora eseguita da americani mentre si mantiene intatta la schiacciante maggeranza del sistema di torture, che viene eseguita da stranieri sotto protezione USA.
Obama potrebbe smettere di appoggiare forze straniere che torturano, ma ha scelto di non farlo.
Invece, il suo Ordine Esecutivo si riferisce soltanto al trattamento di "...un individuo in custodia o sotto il controllo effettivo di un ufficiale, impiegato o altro agente del governo degli Stati Uniti, o detenuto all'interno di una struttura posseduta, diretta o controllata da un dipartimento e agenzia degli Stati Uniti, in qualsiasi conflitto armato...",il che significa che non proibisce neppure la tortura diretta da parte di americani al di fuori dell'ambito del "conflitto armato", e cioè non bandisce neppure molte delle torture praticante direttamente dagli americani, dal momento che molti regimi repressivi non si trovano in un conflitto armato.
Ed anche se, come afferma Obama, "gli Stati Uniti non tortureranno", possono ancora pagare, addestrare, equipaggiare e consigliare torturatori stranieri, cin la certezza che loro, ed i loro protettori USA, non affrontino la giustizia locale o internazionale.
Questo è il ritorno alla situazione precedente l'amministrazione Bush, il regime della tortura da Ford fino a Clinton, che, anno per anno, ha spesso prodotto più supplizi appoggiati dagli USA di quanto ne siano stati provocati durante gli anni di Bush/Cheney.
Sotto il vecchio — ora di nuovo in vigore — regime di tortrue per procura, gli americani insegnavano l'interrogatorio/tortura, quindi stavano nella stanza più vicina mentre le vittime urlavano, imbeccando le domande ai loro allievi stranieri. Questo è il modo nel quale gli USA lo facevano in El Salvador a partire dall'amministrazione di JFK fino a quella di Bush Sr. (Per i dettagli vedi il mio "Dietro le squadre della morte: un rapporto esclusivo sul ruolo degli USA nel terrore ufficiale in El Salvador", The Progressive, maggio 1984 ; il rapporto della Commissione Servizi Segreti del Senato USA che ha provocato la scritturadi quell'articolo è ancora classificato, ma il fatto che gli USA fornissero gli interrogatorii ai torturatori mi è stato confermato da senatori della commissione. Vedi anche il mio "Confessioni di un ufficiale delle squadre della morte", The Progressive, marzo 1986 ed il mio "Commento", The New Yorker, 15 ottobre 1990, [a proposito della legge, gli USA ed El Salvador]).
In Guatemala, sotto Bush Sr. e Clinton (mentori della politica estera di Obama), gli USA appoggiarono lo squadrone della morte G-2 dell'esercito che teneva archivi completi sui dissidenti e quindi faceva loro l'electroshock o tagliava loro le mani. (L'archivio/sistema di sorveglianza fu avviato per loro negli anni '60 e '70 da CIA/Dip. Stato/AID/forze speciali; per la storia vedi "Dietro le squadre della morte", citato sopra ed i libri del Prof. Michael McClintock).
Gli americani sul terreno nell'operazione guatemalteca, alcuni dei quali ho incontrato e menzionato, hanno effettivamente collaborato a dirigere il G-2 ma, loro stessi, sono stati cauti sulle sue camere di tortura. (Vedi il mio "La squadra della morte della CIA", The Nation [US], 17 aprile 1995, "La squadra di campagna", The Nation [US], 5 giugno 1995, scambio di lettere con l'ambasciatore USA Stroock, The Nation [US], 29 maggio 1995 e Allan Nairn e Jean-Marie Simon, "Burocrazia di morte", The New Republic, 30 giugno 1986).
Vi è stata una storia simile nella Haiti di Bush Sr. e Clinton — un'operazione gestita dalla gente di Obama di oggi — dove la DIA (Defense Intelligence Agency) ha contribuito ad avviare il gruppo terroristico FRAPH, la CIA ha pagato il suo capo ed il FRAPH stesso ha usato i machete sui civili haitiani, torturando ed uccidendo per delega degli USA. (Vedi il mio "Dietro i paramilitari di Haiti: il nostro uomo nel FRAPH", The Nation [US], 24 ottobre 1994 e "E' il nostro S.O.B.""This Week" della ABC TV dal segretario di stato USA Warren Christopher).
Nell'odierna Thailandia — un paese che di solito non viene in mente quando la maggior parte della gente pensa alla tortura — la polizia speciale ed i militari ricevono attrezzatura ed addestramento USA per cose come la "target selection" [lett:"selezione del bersaglio"], e quindi escono e torturano musulmani malesi thailandesi nel profondo sud ribelle e talvolta anche rifugiati birmani (principalmente buddisti) e lavoratori sfruttati del nord e della costa occidentale.
Non molto tempo fa ho visitato un importante inquisitore thai che ha parlato apertamente della tortura paraticata da esercito/polizia/servizi segreti e quindi ha concluso la nostra discussione dicendo "Guarda questo" e mi ha invitato nella sua sala interna.
Era un museo aggiornato di targhe, fotografie e premi dei servizi segreti USA ed occidentali, compresi encomi del centro antiterrorismo della CIA (allora diretto da persone ora alle dipendenze di Obama), sue fotografie con alti personaggi USA, incluso George W. Bush, una medaglia avuta da Bush, svariati certificati di addestramento di servizi segreti/FBI/militari USA, una sua fotografia con un collega israeliano, accanto di un carro armato nei Territori Occupati ed attrezzi e cimeli da interrogatorio del Mossad, Shin Bet e Singapore e altri.
Mentre uscivo, l'agente dell'intelligence thai osservò che presto sarebbe tornato a visitare Langley.
Il suo ruolo è tipico. In tutto il mondo ve ne sono migliaia come lui. La tortura USA per procura rende insignificante quella a Guantanamo.
Molti americani, a loro merito, odiano la tortura. Ma la scappatella di Bush/Cheney l'ha smascherata.
Ma per fermarla devono comprendere i fatti e capire che il divieto di Obama non la ferma ed in realtà potrebbe persino conciliarsi con un incremento del crimine della tortura sponsorizzato dagli USA.
Tramite l'azione per procura, stanotte il sistema avanzerà inesorabilmente. Altri, shock, soffocamenti, profonde bruciature. E migliaia di menti complesse convergeranno su un solo pensiero: 'Per favore, lasciatemi morire'.
Allan Naim
link
vedi anche:

Gli ordini di Obama lasciano intatte la tortura e la detenzione indefinita
link

come Israele ha rispettato la tregua prima della guerra che aveva deciso di fare a prescindere dalle azioni di Hamas

Il 16 giugno 2008 Hamas e il governo Israeliano firmano una tregua, che prevede tra le altre cose la fine reciproca di tutte le attività militari nella Striscia di Gaza e la fine dell'embargo con l'apertura di tutti i passaggi commerciali.

Durante la tregua però decine di palestinesi vengono uccisi e moltissimi sono feriti, sia a Gaza che in Cisgiordania.

Anche l'embargo di Gaza che sarebbe dovuto cessare con la tregua continua invece praticamente senza interruzione.
Tra luglio e novembre 2008, durante la "tregua", sono 55 i malati che muoiono a causa dell'embargo e della chiusura dei valichi, per mancanza di medicine o perché viene negato loro il permesso di uscire da Gaza per ricevere cure mediche in strutture più attrezzate.

L'Egitto tiene chiuso ininterrottamente il valico di Rafah tranne che per periodi brevissimi, di un paio di giorni l'uno, a distanza di settimane tra loro.
Il transito delle merci verso Gaza dai valichi con Israele procede a rilento e per quantitativi contingentati.

In Cisgiordania continua l'edificazione del muro, tutto sul territorio palestinese che viene spezzettato in mille enclavi, separate da 630 checkpoint.
Non solo non vengono evacuati gli insediamenti coloniali illegali (come era stato previsto dalla roadmap), ma ne vengono costruiti di nuovi.
Le manifestazioni pacifiche contro il muro vengo duramente represse con morti e feriti.

Il 4 novembre l’esercito israeliano attacca la striscia di Gaza, provocando almeno 5 morti.
Hamas risponde con il lancio di razzi contro il territorio israeliano.

Solo questo ultimo episodio viene comunicato dai media. Tutto quello che lo ha preceduto non esiste. La responsabilità politica della fine della tregua viene quindi attribuita solo ed esclusivamente a Hamas.
Un vero e proprio falso storico.

Per dare la possibilità di conoscere la vera storia di questa tregua che il regime sionista non ha mai voluto rispettare, abbiamo ricostruito questa cronologia degli eventi in Palestina tra il 19 giugno e il 19 dicembre 2008, servendoci dell'unica fonte di informazione disponibile, quella dell'agenzia Infopal. Una fonte sicuramente di parte che però elenca senza censure tutto quanto è avvenuto, indipendentemente dalla responsabilità israeliana o palestinese, riportando tanto il lancio di missili da Gaza, quanto gli attacchi dell'esercito israeliano.

Pur non avendo potuto riportare tutto (ma chi volesse approfondire può visitare il sito www.infopal.it per leggere la cronologia completa), il quadro che esce da questa cronologia è a dir poco sconvolgente nei confronti della nostra certezza di essere correttamente informati.

Anche se formalmente la tregua riguardava solo Gaza, la cronologia elenca sia episodi avvenuti a Gaza che episodi avvenuti in Cisgiordania.

Questo per due motivi. Il primo è che nonostante oggi la Palestina sia, non certo per propria responsabilità, divisa in due enclavi circondate da Israele, quello che avviene in una non può non influire anche sull'altra.

Il secondo motivo è che c'è una convinzione molto diffusa, anche se profondamente errata, che tutti i problemi siano circoscritti a Gaza perché Gaza è governata da Hamas.
Ma nella Cisgiordania governata dal "moderato" (per usare un eufemismo) Abu Mazen non è passato giorno senza un attacco dell'esercito israeliano, un sequestro di cittadini palestinesi, una razzia ad opera di coloni israeliani.

La differenza con Gaza è solo quella che in Cisgiordania il popolo palestinese è abbandonato dal proprio governo e lasciato alla mercé dell'esercito sionista.
La Cisgiordania è oggi solo un protettorato in cui il regime sionista fa il bello e il cattivo tempo.

L'unico problema che c'è con Gaza è che Gaza lotta per non essere ridotta ad un protettorato sionista.

LA TREGUA DEGLI ASSASSINI

Eyad Khanfar (24 anni) - Nablus 24 Giugno
Tareq Abu Ghali - Nablus 24 Giugno
Muhammad Anwar Jamil Abu Sara (14 anni) - Hebron 28 giugno
Talal Said Abed (32 anni) - Kufr Dan 10 luglio
Salim Jumaa Humaid (16 anni) - Khan Yunes 10 luglio
Mahmud Othman Asi (45 anni) - Bani Hassan 11 luglio
Ahmad Husam Yousef Musa (12 anni) - Nil'in 29 luglio
Yousef Ahmad Younes Amira - Nil'in 4 agosto
Hasan Muhammad Hamaid (16 anni) - Betlemme 13 settembre
un cittadino palestinese - Nablus 20 settembre
Abd Al-Qadir Ziyad (17 anni) - Ramallah 15 ottobre
Aziz Arar (20 anni) - Ramallah 16 ottobre
Mohammad Jamal ar-Ramahi - Ramallah 16 ottobre
Mohammed Tahir 'Abahra (67 anni) - Yamun 29 ottobre
Muhammad Ba’lusha - Gaza 5 novembre
Omar Al-Alami - Gaza 5 novembre
Muhammad Awad - Gaza 5 novembre
Wajdi Muharib - Gaza 5 novembre
Ghassan at-Tramsi (29 anni) - Gaza 6 novembre
Mahmoud Siyam - Gaza 12 novembre
Rami Freinah - Gaza 12 novembre
Muhsen Al-Qidrah - Gaza 12 novembre
Isma’il Abu Al-Ola - Gaza 12 novembre
due resistenti palestinesi - Gaza 15 novembre
quattro militanti dei Comitati di Resistenza Popolare - Gaza 16 novembre
militante delle Brigate al-Qassam - Gaza 20 novembre
Hikmat Odeh Said Khalil (48 anni) - Qalandia 26 novembre
Mohammad Abu Thraa (27 anni) - Nablus 2 dicembre


Un elenco (parziale) dei palestinesi uccisi durante i 6 mesi della cosiddetta "tregua". Tutti assassinati da un esercito straniero mentre si trovavano nel loro Paese.
Qualcuno di loro stava protestando come Ahmad Husam Yousef Musa, il dodicenne assassinato a Nil'in, qualcuno si trovava nel luogo sbagliato, come Salim Jumaa Humaid di 16 anni, assassinato a Gaza perché era "troppo vicino" al confine, o come Mohammed Tahir 'Abahra, di 67 anni, ucciso a Jenin senza motivo.
Altri sono stati assassinati mentre difendevano il loro Paese dall'aggressione straniera, come i 5 militanti uccisi il 5 novembre a Gaza. Altri ancora erano nella lista di quelli da uccidere e sono stati assassinati comunque, alla faccia della tregua.

LA TREGUA DELL'INFORMAZIONE

Dal 19 giugno al 19 dicembre 2008 anche la stampa italiana ha osservato una propria tregua e, semplicemente, si è dimenticata di informare su quanto stava succedendo in Palestina.

Ricercando notizie negli archivi informatici del Corriere e della Repubblica ci si accorge che questa "tregua della stampa" è stata violata solo in pochissime occasioni.

Emblematica la prima: il 20 giugno (il giorno successivo all’inizio della tregua) coloni israeliani lanciano dei missili Qassam contro cittadine palestinesi, il 21 giugno l'esercito israeliano spara su pescatori e contadini di Gaza, il 24 giugno invade Nablus (nella Cisgiordania palestinese) e assassina due studenti universitari, a Gaza spara e ferisce un contadino.
Tutto questo, anche se si tratta di fatti riportati dagli stessi quotidiani israeliani, per la stampa italiana non fa notizia.

Lo stesso 24 giugno, dopo i due assassini mirati di Nablus, vengono lanciati da Gaza alcuni missili contro la cittadina israeliana di Sderot ferendo due persone.
Questo invece fa notizia e un laconico articolo di Repubblica titola "Razzi su Sderot violata la tregua". All'interno dell'articolo neppure un cenno alle precedenti violazioni da parte di Israele.
[ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2008/06/25/razzi-su-sderot-violata-la-tregua.html]

Il 3 luglio una seconda notizia, sempre da Repubblica: "Con un bulldozer contro un bus palestinese fa strage a Gerusalemme". E nell'articolo viene sottolineato che si tratta di "Un' azione che rompe la tregua appena siglata da Hamas e Israele".
[ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2008/07/03/con-un-bulldozer-contro-un-bus-palestinese.html]

Prima di questa "violazione" se ne erano verificate altre. La più grave di tutte a Hebron dove l'esercito israeliano aveva ucciso un ragazzo di 14 anni, Muhammad Anwar Jamil Abu Sara. Poi incursioni militari all'interno del territorio palestinese della Cisgiordania, tentativi di assassini mirati, rapimenti di cittadini Palestinesi, ferimenti, distruzioni di abitazioni, aggressioni di coloni israeliani contro cittadini palestinesi e ancora razzi artigianali sparati da coloni israeliani contro villaggi palestinesi.
Ma durante tutto questo anche Repubblica e il Corriere erano in "tregua" e osservavavano un rigido silenzio stampa.

Il Corriere tace fino 23 luglio quando informa i propri lettori del secondo episodio di attacco con bulldozer: "Kamikaze su una ruspa terrorizza Gerusalemme".
L'articolista del Corriere cita con enfasi l'esternazione di Barack Obama, in quei giorni in visita in Medio Oriente: «Ci ricorda la violenza che gli israeliani hanno affrontato con coraggio ogni giorno, ormai da troppo tempo».
Sulle violenze che i Palestinesi devono affrontare giorno dopo giorno tace Barack Obama e tace anche Davide Frattini che firma l'articolo.
[archiviostorico.corriere.it/2008/luglio/23/Kamikaze_una_ruspa_terrorizza_Gerusalemme_co_9_080723068.shtml]

Altri due articoli del Corriere il 5 e il 6 agosto informano della missione del Movimento Free Gaza che tenta di raggiungere Gaza con due imbarcazioni da Cipro.
Due articoli di impostazione molto "gossip" centrati sul fatto che una delle militanti del Free Gaza è la cognata di Blair: "Il personaggio Giornalista e star di un reality, sostiene la causa palestinese".
[archiviostorico.corriere.it/2008/agosto/05/Gaza_dal_mare_per_sfidare_co_9_080805068.shtml]
[archiviostorico.corriere.it/2008/agosto/06/sorella_Cherie_Blair_sfida_barca_co_9_080806039.shtml]

Un terzo articolo il 25 agosto informa che i 2 battelli pacifisti sono arrivati a Gaza.
[archiviostorico.corriere.it/2008/agosto/24/Gaza_battelli_pacifisti_forzano_blocco_co_9_080824026.shtml]

Nessuna parola sul mitragliamento delle imbarcazioni palestinesi in attesa dei due battelli pacifisti, nessuna parola sui tentativi israeliani di bloccare le imbarcazioni, fosse solo per spiegare come mai hanno impiegato ben 20 giorni per arrivare a Gaza.

Il 17 settembre anche Repubblica pubblica una notizia dal fronte Palestinese. E' coinvolto un volontario italiano, Vittorio Arrigoni ferito mentre si trovava su un peschereccio palestinese e l'articolista deve comunque tranquillizzare l'opinione pubblica "All' Ansa il pacifista ha riferito di «stare bene»".
Neppure un cenno invece all'infinita serie di aggressioni della marina militare israeliana ai danni dei pescherecci palestinesi. Il fatto è trattato come un episodio isolato.
[ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2008/09/17/israeliani-contro-palestinesi-attacco-in-mare-pacifista.html]

Poi Repubblica tace. E tace sempre il Corriere.
Tacciono quando Israele uccide, quando Israele ferisce, tacciono anche quando il 4 novembre 2008 Israele attacca Gaza uccidendo 5 palestinesi e decretando così la fine della tregua.

Repubblica si risveglia solo il 16 novembre, quando ormai la tregua è rotta da due settimane e titola "Gaza, ancora attacchi di Hamas. Barak: pronti a una rappresaglia".
[ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2008/11/16/gaza-ancora-attacchi-di-hamas-barak-pronti.html]

E il giorno successivo rincara la dose: "I razzi di Hamas rompono la tregua rappresaglia israeliana su Gaza"
[ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2008/11/17/razzi-di-hamas-rompono-la-tregua.html]

Né Repubblica, né il Corriere si degnano di informare i propri lettori quando il 18 novembre un cittadino italiano, Vittorio Arrigoni, viene sequestrato e detenuto illegalmente nei carceri israeliani.

Dopo aver così bene informato i propri lettori Repubblica si può permettere di "inorridire" di fronte allo slogan "Israele assassina, giù le mani dalla Palestina" durante la manifestazione del 30 novembre a Roma.
Nel pezzo un'altra chicca di disiformazione: scrivendo del muro costruito da Israele all'interno del territorio palestinese della Cisgiordania, che ne riduce l'estensione territoriale della metà, l'articolista scrive il "muro sorto sul territorio di Israele". (!)
[ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2008/11/30/corteo-per-la-palestina-roma-scontro-sugli.html]

Il Corriere, che nel frattempo ha continuato a tacere, esce con un articolo su Gaza il 15 dicembre: "Hamas: «La tregua è finita» Ma Israele non chiude la porta" .
L'onesto lettore del Corriere, ignorando tutto quanto è successo, gli assassini, i ferimenti, le distruzioni a questo punto dovrebbe naturalmente pensare che i palestinesi sono pazzi. Ed è questo l'obiettivo abbastanza esplicito di Francesco Battistini che firma l'articolo.
Un unico elemento degno di nota in questo articolo è il fatto che si parla dei "venti palestinesi uccisi alla frontiera l' ultimo mese", anche se citando una dichiarazione di Hamas e provvedendo immediatamente ad aggiungere "sorvolando sui Kassam che bersagliano Sderot".
Questo dovrebbe rassicurare un lettore attento del Corriere che avesse dei dubbi sull'elenco dei palestinesi assassinati riportato in questo dossier (e sarebbe legittimo averli per chi si informa solo su certa stampa).
[archiviostorico.corriere.it/2008/dicembre/15/Hamas_tregua_finita_Israele_non_co_9_081215030.shtml]

Se invece fosse un lettore di Repubblica ad avere dubbi lo invitiamo a rileggere con attenzione l'articolo "Gaza si tinge di verde per la festa di Hamas 'Non rinnoveremo la tregua con Israele'" del 15 dicembre.
Nel suo pezzo l'ignoto articolista a ad un certo punto si tradisce e scrive: "una tregua indegna di questo nome viene a scadenza il prossimo venerdì 19 novembre. Non è che non si sia combattuto. L' esercito israeliano ha continuato a fare le sue incursioni nel territorio della Striscia, ma meno di prima. Una ventina di palestinesi, la stragrande maggioranza miliziani, sono stati uccisi. Meno di prima."
[ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2008/12/15/gaza-si-tinge-di-verde-per-la.html]

Si tratta di due delle rarissime tracce sulla stampa italiana di quello che è successo durante la tregua sionista e che riportiamo nella cronologia che segue
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