il solito splendido Fulvio Grimaldi
Manifesto della Sinistra radicale europea
Obama il nixoniano
Usa: occupati calano di 533.000 unità a novembre
Oleodotti e nucleare, il grande gioco asiatico
La battaglia di Mumbai, qualunque sia la regia degli attacchi, si inquadra in una contesa di vasta portata condotta con strumenti politici, economici e militari da più soggetti: non solo India e Pakistan, ma Stati uniti, Russia e Cina. Principale terreno di confronto è l'Asia centrale, area di enorme importanza per la sua posizione geostrategica e per il controllo del petrolio del Caspio e dei «corridoi energetici».
L'epicentro è in Afghanistan. Qui s'impantanò per dieci anni l'esercito sovietico. Qui, nel 2001, sono arrivate le truppe statunitensi, ufficialmente per combattere i taleban e dare la caccia a bin Laden. L'obiettivo strategico è in realtà quello di occupare una posizione chiave nel nuovo scenario creato in Asia dalla disgregazione dell'Urss e dall'emergere delle potenze cinese e indiana. «Esiste la possibilità che emerga nella regione un rivale militare con una formidabile base di risorse», avvertiva un documento pubblicato dal Pentagono una settimana prima dell'invasione dell'Afghanistan.
Questo obiettivo strategico è stato confermato dal presidente eletto Barack Obama, che ha annunciato di voler «uscire dall'Iraq» e «passare al giusto campo di battaglia in Afghanistan e Pakistan». Viene quindi considerato campo di battaglia anche il Pakistan, ritenuto a Washington un alleato non molto affidabile, i cui servizi segreti sono sospettati di avere legami con i taleban. Quando nel gennaio 2008 gli Usa chiesero al presidente Musharraf di avere mano libera nelle zone di confine con l'Afghanistan, ricevettero un rifiuto. E, a causa della forte opposizione interna, anche l'attuale presidente Zardari appare riluttante.
A rendere ancora più complessa la situazione è la scelta di Washington di privilegiare le relazioni con l'India, per impedire un suo avvicinamento alla Russia e alla Cina. Rientra in tale politica l'accordo, ratificato il 2 ottobre dal senato, attraverso cui gli Stati uniti «legalizzano» il nucleare militare dell'India, che non ha mai aderito al Trattato di non-proliferazione, permettendole di mantenere otto reattori nucleari militari al di fuori di ogni controllo internazionale. Ciò spinge il Pakistan, che non ha mai aderito al Tnp, ad accelerare i suoi programmi nucleari militari. Col risultato che i due paesi già schierano complessivamente circa 110 testate nucleari e sono in grado di fabbricarne molte di più.
Su questo terreno entrano in gioco, in concorrenza con gli Usa, Russia e Cina. A settembre è stato confermato che la Russia fornirà all'India una portaerei con 16 Mig-29; contemporaneamente, la joint-venture russo-indiana BrahMos Aerospace ha annunciato che accrescerà la produzione di missili da crociera supersonici lanciati dall'aria, armabili con testate sia convenzionali che nucleari. La Cina sta invece stringendo relazioni particolarmente strette col Pakistan: il 18 ottobre è stato annunciato che il presidente Zardari, in visita a Pechino, ha firmato 12 accordi, uno dei quali impegna la Cina a costruire altri due reattori nucleari in Pakistan. La Cina fornisce inoltre al Pakistan caccia Jf-17 dotati di motori russi, la cui fornitura è stata autorizzata da Mosca.
Nella «guerra degli oleodotti», entra in gioco anche l'Iran, col progetto di un gasdotto che, attraverso il Pakistan, dovrebbe portare in India il gas iraniano. Sotto pressione statunitense, l'India non ha finora aderito all'accordo. L'Iran si è però dichiarato disponibile, l'11 ottobre, a costruire il gasdotto (costo 7,5 miliardi di dollari) fino in Pakistan, in attesa dell'adesione dell'India. Oggi ancora più difficile, dopo gli attacchi a Mumbai.
La battaglia di Mumbai, qualunque sia la regia degli attacchi, si inquadra in una contesa di vasta portata condotta con strumenti politici, economici e militari da più soggetti: non solo India e Pakistan, ma Stati uniti, Russia e Cina. Principale terreno di confronto è l'Asia centrale, area di enorme importanza per la sua posizione geostrategica e per il controllo del petrolio del Caspio e dei «corridoi energetici».
L'epicentro è in Afghanistan. Qui s'impantanò per dieci anni l'esercito sovietico. Qui, nel 2001, sono arrivate le truppe statunitensi, ufficialmente per combattere i taleban e dare la caccia a bin Laden. L'obiettivo strategico è in realtà quello di occupare una posizione chiave nel nuovo scenario creato in Asia dalla disgregazione dell'Urss e dall'emergere delle potenze cinese e indiana. «Esiste la possibilità che emerga nella regione un rivale militare con una formidabile base di risorse», avvertiva un documento pubblicato dal Pentagono una settimana prima dell'invasione dell'Afghanistan.
Questo obiettivo strategico è stato confermato dal presidente eletto Barack Obama, che ha annunciato di voler «uscire dall'Iraq» e «passare al giusto campo di battaglia in Afghanistan e Pakistan». Viene quindi considerato campo di battaglia anche il Pakistan, ritenuto a Washington un alleato non molto affidabile, i cui servizi segreti sono sospettati di avere legami con i taleban. Quando nel gennaio 2008 gli Usa chiesero al presidente Musharraf di avere mano libera nelle zone di confine con l'Afghanistan, ricevettero un rifiuto. E, a causa della forte opposizione interna, anche l'attuale presidente Zardari appare riluttante.
A rendere ancora più complessa la situazione è la scelta di Washington di privilegiare le relazioni con l'India, per impedire un suo avvicinamento alla Russia e alla Cina. Rientra in tale politica l'accordo, ratificato il 2 ottobre dal senato, attraverso cui gli Stati uniti «legalizzano» il nucleare militare dell'India, che non ha mai aderito al Trattato di non-proliferazione, permettendole di mantenere otto reattori nucleari militari al di fuori di ogni controllo internazionale. Ciò spinge il Pakistan, che non ha mai aderito al Tnp, ad accelerare i suoi programmi nucleari militari. Col risultato che i due paesi già schierano complessivamente circa 110 testate nucleari e sono in grado di fabbricarne molte di più.
Su questo terreno entrano in gioco, in concorrenza con gli Usa, Russia e Cina. A settembre è stato confermato che la Russia fornirà all'India una portaerei con 16 Mig-29; contemporaneamente, la joint-venture russo-indiana BrahMos Aerospace ha annunciato che accrescerà la produzione di missili da crociera supersonici lanciati dall'aria, armabili con testate sia convenzionali che nucleari. La Cina sta invece stringendo relazioni particolarmente strette col Pakistan: il 18 ottobre è stato annunciato che il presidente Zardari, in visita a Pechino, ha firmato 12 accordi, uno dei quali impegna la Cina a costruire altri due reattori nucleari in Pakistan. La Cina fornisce inoltre al Pakistan caccia Jf-17 dotati di motori russi, la cui fornitura è stata autorizzata da Mosca.
Nella «guerra degli oleodotti», entra in gioco anche l'Iran, col progetto di un gasdotto che, attraverso il Pakistan, dovrebbe portare in India il gas iraniano. Sotto pressione statunitense, l'India non ha finora aderito all'accordo. L'Iran si è però dichiarato disponibile, l'11 ottobre, a costruire il gasdotto (costo 7,5 miliardi di dollari) fino in Pakistan, in attesa dell'adesione dell'India. Oggi ancora più difficile, dopo gli attacchi a Mumbai.
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