domenica 25 settembre 2011

CHI SONO I VERI MERCENARI IN LIBIA

Almeno 40 incursori delle SAS inglesi e altrettanti legionari francesi. Più un centinaio di istruttori egiziani, una ventina forniti dal Qatar e dagli Emirati Arabi Uniti, una dozzina di bulgari e, dulcis in fundo, una decina di italiani. In tutto 300 uomini, forse di più. Sono questi i numeri reali, stimati al ribasso, delle forze speciali “alleate” che stanno aiutando i ribelli libici ed hanno già avuto un ruolo determinante nella conquista di Misurata, Zintan, Zawiya, e Tripoli. A rivelarli è un rapporto appena uscito del Royal United Services Institute (RUSI) di Londra, che conferma le indiscrezioni già uscite sulla stampa internazionale ma aggiunge, oltre ad una analisi militare assai accurata, tutta una serie di dettagli nuovi e per certi versi inquietanti, Da cui  si evince che i veri mercenari presenti in Libia non sono quelli reclutati da Gheddafi – alla prova dei fatti ne hanno ucciso o catturato poche centinaia – bensì quelli messi in campo dalla Nato, in palese contrasto con  la risoluzione 1973 dell’Onu, che autorizzava sì’ l’intervento “umanitario” in Libia ma vietava espressamente l’uso di forze di terra e l’occupazione militare del territorio.
Secondo il RUSI il ruolo delle forze speciali alleate è stato esteso, massiccio e determinante. Innanzitutto nell’addestramento dei ribelli all’uso dei più sofisticati sistemi d’arma, ma anche nel coordinamento delle operazioni sul terreno, nel lavoro di intelligence e infine nell’infiltrazione in zone sotto il controllo dei lealisti. La presa di Tripoli, in particolare, sarebbe stata preparata per quattrolunghi mesi dalle SAS inglesi; e senza questo aiuto, sottolinea il RUSI,  difficilmente si sarebbe realizzata nei tempi brevi e nelle modalità poco cruente con cui è avvenuta. 

Dal Rapporto risulta infine che le Sas inglesi erano attive a Bengasi già dal 23 febbraio, il che vuol dire una settimana dopo l’inizio della rivolta e un mese prima che la Nato decidesse ufficialmente di intervenire. Insomma, pare proprio che i ribelli abbiano avuto dei “padrini” assai premurosi, e da subito. Forse ancor prima che diventassero dei ribelli.
http://www.amedeoricucci.it/chi-sono-i-veri-mercenari-in-libia/ 

sabato 17 settembre 2011

quello che i gonzi pensano di cancellare


continua qui:
1) un partito fascista non è una sigla politica, è un partito fascista, e solo chi è fascista ci si candida. E chi è fascista non fa mai informazione, ma solo propaganda di regime. Ergo se il regime oggi è con Gheddafi, andrà a incensarlo coi suoi colleghi, se il regime è contro Gheddafi e coi "ribelli" del CNT, scriverà propaganda antigheddafiana.
2) un' "emerita pubblicazione annuale di africanistica" su cui pubblicano negazionisti come Claudio Mutti di emerito ha ben poco.
3) il fatto che ci siano stati fior di docenti e politici invitati allo stesso convegno non rende i partecipanti più degni, ma conferma al contrario che i politici occidentali sono carogne prontissime a ordinare di farti fuori 5 minuti dopo averti accolto con tutti gli onori.

domenica 11 settembre 2011

Postmoderno, un pensiero contiguo alla verità neoliberista

Il 24 settembre al Victoria and Albert Museum di Londra si inaugurerà la grande mostra dal titolo Postmoderno-Stile e sovversione 1970-1990. Si tratterà di una memorabile retrospettiva globale sui rapporti fra arti visive, design e Postmoderno. Sono in molti a prevedere che ciò potrà sancire la fine dell'influenza del Postmodern sull'arte. Noi non nutriamo la stessa fiducia visto il ruolo che oggettivamente ha svolto questa corrente di pensiero nel legittimare qualsiasi intrapresa post-ideologica contigua agli attuali assetti di potere. A incrementare l'attenzione su questa notizia concorre l'acceso dibattito su giornali e riviste sul lancio, da parte di Maurizio Ferraris, del manifesto del cosiddetto New Realism. Quest'ultimo si colloca in aperto contrasto con le note posizioni di Vattimo e del suo Pensiero debole (pubblicato con Rovatti nel 1983), una vera e propria architrave nobile del postmoderno italiano.
Lo scontro, nemmeno troppo diplomatico, pone, finalmente, la questione del superamento di posizioni fino a oggi vincenti che, traendo spunto dal fallimento delle grandi utopie, sancivano l'eclissi di qualsiasi idea forte (tipica del modernismo) a favore di una prospettiva progettualmente postmoderna e "debolista", istruita alla plasticità di un esercizio del dubbio sistematico e aperto a legittimare le molte verità possibili (a partire da quella neoliberista). Nella primavera prossima un grande convegno a Bonn, a cui parteciperà anche Umberto Eco e altri filosofi internazionali, affronterà queste tematiche. Tematiche che, c'è da aspettarsi, saranno anticipatamente dibattute ad alto livello nel prossimo Festival della Filosofia di Modena che vedrà Maurizio Ferraris fra i protagonisti.
Ma che cos'è veramente il Postmoderno? Si tratta dell' "incredulità verso la metanarrativa", un'espressione sintetica di Jean-Francois Lyotard, il quale con la sua Condition postmoderne (1979) è stato il maggior teorico di questo pensiero, per altro manifestatosi precedentemente (sin dagli anni Sessanta) in ambiti artistico letterari e in particolare in architettura. Secondo Lyotard, con il decadere dei grandi sistemi interpretativi applicati alla scienza, alla politica e all'arte sarebbe finito il tempo delle narrazioni (evidentemente Niki Vendola ha tratto grande alimento da queste riflessioni). Non esisterebbero, cioè, più verità forti ma solo temporanee probabilità, spesso utili da un punto di vista tattico-pragmatico ma non utilizzabili dal punto di vista delle grandi strategie di trasformazione del mondo.
Il Postmoderno trova nel celebre assunto nietzschiano «non esistono fatti ma solo interpretazioni dei fatti» il suo fondamento relativistico. Qualsiasi concezione della storia che sia fondata su un disegno unitario disposto a prendere in considerazione - pur nella consapevolezza delle inevitabili difficoltà - un unico e/o prevalente prospettiva possibile è negato in partenza.
La fine della storia di Fukuyama, infatti, tredici anni dopo la Condizione postmoderna, cristallizzerà le posizioni di Lyotard. Scienza, arte, architettura e letteratura diventano sottoinsiemi di un pensiero più generale che tende a teorizzare l'impossibilità e anzi la nocività di qualsiasi visione unitaria e coerente. Gli scienziati possono avanzare solo delle opinioni. Gli architetti e gli artisti possono solo rivisitare concezioni e stili che appartengono al passato perché con la "fine della storia", semplicemente, ogni futuro ha cessato di esistere. Il capitalismo è il grande vincitore. Non solo non esistono certezze in grado di contestare questo dato di fatto ma nemmeno plausibili controdeduzioni. E così tutto sfuma e si relativizza. Ogni pensiero altro e ogni azione naufragano prima di prendere il largo. Quanto questo possa far piacere ai burattinai di questo teatrino è facile capire.
Scrive F. Jameson, il quale considera il postmoderno come una proiezione del tardocapitalismo globalizzato: «Il lettore non si lasci fuorviare dal fatto che Lyotard enumeri cinque diverse grandi narrazioni (Illuminismo, Idealismo, Marxismo, Cristianesimo e Capitalismo); è una sola la grande narrazione che Lyotard desidera realmente falsificare, ed è quella comunista e marxista (…) Egli per ammazzare il padre uccide tutti gli adulti» (Il Postmoderno o la logica cultura del tardocapitalismo).
In Italia Portoghesi per l'architettura e Achille Bonito Oliva per le arti visive sono stati i più grandi interpreti di questo pensiero. La Transavanguardia, che conosciamo meglio, è stato il movimento artistico che più si è adeguato a questa visione tattica (volutamente non strategica), oggettivamente antimoderna e nomadica (come chi vaga senza avere una meta). I risultati noi li conosciamo e non sono irresistibili (tranne alcune eccezioni). Ricominciare allora a credere che la storia non si ferma e che in arte, come in politica, come in architettura, come in letteratura - senza indulgere in stucchevoli e improbabili sicurezze -
si deve guardare in alto, si deve guardare in avanti, perché questo mondo per forza va cambiato, è oggi più che mai necessario. Speriamo veramente che la mostra di Londra e il Convegno di Bonn avvicinino questa prospettiva.
Roberto Gramiccia

su Liberazione del 11/09/2011